Raccontiamo l’attualità con una canzone
Che mondo straordinario è mai questo! Se non siete d’accordo, fatevi almeno raccontare cosa mi è appena accaduto. Camminavo per le strade della mia città aspettando che un mio amico mi rispondesse ad un importante messaggio. La nebbia sottile non faceva che evidenziare la fugacità del tempo e il supremo potere della routine – problemi atmosferici e spirituali che sono innati nei sentimenti dei lombardi; inutile provare a spiegarli. Tutto appariva come se dovesse essere nel posto giusto per essere dimenticato. La nebbia ha di questi poteri qui da noi. Non a caso degli studiosi affermano che ci deve essere una relazione per la quale la nebbia in Lombardia è per la maggior parte generata dai lombardi che sbuffano perché in Lombardia c’è la nebbia. Se così fosse, amerei ancora di più i miei concittadini: coerentemente ossimori, sbrigativi nelle scoperte, eterni nelle abitudini.
Ritornando a noi, anch’io – ovviamente – sbuffavo. E con me sbuffavano molte altre persone nascoste qui e là (ma soprattutto là) nell’umidità. Probabilmente sbuffava anche il mio amico anche se non mi è dato modo di saperlo visto che non mi rispondeva al messaggio. Nell’attesa, mi misi a guardare il panorama grigio e freddo davanti a me. Non so se vi capita anche a voi, ma ci sono delle volte nelle quali il paesaggio si rivela ai nostri occhi con un violento e mostruoso anonimato. La stessa strada, la stessa casa, lo stesso dettaglio che fino a pochi secondi fa non ci avrebbe mai potuto neanche lontanamente scalfire il nostro animo, ecco che diventano all’improvviso un’indelebile icona ed elogio massimo del niente. Tempi morti. Tempi morti brutali. Bisogna fare attenzione a quei momenti, perché si insinua dietro il rischio che uno si mette poi a farsi domande strane. Chiedendosi il senso della vita, il perché della violenza nei giorni nostri, la paura del domani e come mai il mio amico non mi rispondeva al messaggio.
Stavo anch’io cadendo in quel rischio quando sentii una canzone. Era una canzone di Francesco De Gregori e fuoriusciva da un balcone di una casa vicino a dove ero io. Non vidi chi la stesse suonando ma doveva essere un autodidatta visto che ogni tanto fuoriusciva dal balcone, oltre alla canzone, anche qualche nota stonata. Ma lì, in mezzo a tanta nebbia, a tanti sbuffi e a tanto aspettare che il mio amico mi rispondesse al messaggio; quel suono sopra di me, era magia. Per un attimo mi sentì pervadere da una sensazione di pienezza e leggerezza. La strada e le case non erano più insignificanti. Nessun dettaglio innalzava elogi al niente e nessun tempo morto nutriva i miei pensieri. Quel momento era passato magicamente da tempo morto a tempo vivo. Mi avvicinai alla casa e nonostante non sentì le parole, capì subito di che canzone si trattasse: Guarda che non sono io.
Non so quanto tempo rimasi lì ad ascoltarlo. Mi immaginai con tutta la fantasia che posseggo – quindi molto poca – chi potesse essere l’uomo o la donna che la stava suonando. Sorridevo laddove le note si facevano dure ma mi lasciavo incantare nei passaggi più puliti e dolci della canzone. Che spettacolare invenzione che è la musica! Capace di farti dimenticare la nebbia, le ingiustizie, le pene che affliggono il tuo e gli altri mondi. Quando finì di suonare, mi trattenni dall’applaudire solo perché avevo le mani fredde e non volevo toglierle dalle tasche. Ringraziai il suonatore con un inchino simbolico e proseguì per la mia strada. Ma, un attimo prima di andarmene, laddove prima sentivo suonare, ora sentivo un pianto. Un pianto timido, spezzato. Uno di quei pianti che si fermano in gola, laddove non hanno spazio le parole troppo forti e i sentimenti troppo fragili. Uno di quei pianti che ti rimangono addosso. Uno di quei pianti capaci di fermare il mondo.
Che tristezza, caro lettore, passare da tanta gioia per una canzone a tanta compassione per chi la stava suonando. La nebbia, insieme all’imbarazzo e al suo pianto, mi pesavano nel cuore. Che attimo era quello lì? Tempo morto o tempo vivo? E qual è il confine fra uno e l’altro? Nessuna di queste risposte m arrivò tra le sbuffate della gente che cammina vicino a me. Mi avvicinai ancora un po’ alla casa. Quando il pianto cessò, rimasi ancora lì per un po’, ma non sentì più nulla. Nel silenzio e nel dolore, quell’anima triste avrà chiuso gli occhi e si sarà abbandonato, come tutti noi, alla notte e ai suoi sogni.
Oh nebbia gelida, oh mondo imprevedibile: lasciatela riposare quella povera anima e non fategli più del male. Oggi mi ha regalato un tempo vivo: fa che ne abbia anche lui dei migliori.
Me ne andai un po’ triste per la mia strada. Triste ma sorpreso di questo straordinario mondo: capace di tirarti fuori, da una strada qualunque, una preghiera alla nebbia per un suonatore sconosciuto. Comunque alla fine si era addormentato. Il mio amico intendo.
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