Raccontiamo l’attualità con una canzone
Mi fa impazzire questa cosa delle ore legali. Provateci a pensare. Mentre la Terra continua la sua danza ellittica intorno al sole e nonostante i fiori e la natura crescano senza chiedere permesso a nessuno, una grande novità si palesa negli occhi di tutti i mattinieri nel loro primo appuntamento al chiaro di sole con l’orologio. Un’ora, chissà dove, è andata perduta. O guadagnata, dipende da quale ora legale si consideri.
La prima considerazione ha un impianto per lo più pratico. Abbiamo dormito di più o, in sfortunato caso, abbiamo dormito di meno. Questo tipo di ragionamento si ripropone quando ci attingiamo a mangiare in un’orario che è, a sua insaputa, slittato avanti o indietro rispetto al nostro normale standard fisico. Ahimè, la biologia non conosce ore legali. Mannaggia a lei.
In tal caso la cosa sembra finire lì, visto che tranne per il nostro metabolismo confuso, il resto sembra procedere come sua normale abitudine. La rivelazione nascosta, perché di rivelazione si tratta, è che per un attimo, lì, in quel preciso momento in cui ci troviamo semi addormentati davanti all’orologio, constatiamo la reale e fugace fragilità del tempo. Per un attimo appare chiaro il fatto che non esiste, e non può esistere, un vero tempo da indicare e visualizzare, e che quindi l’orologio è solo un modo più pratico (e di certo meno poetico) di dire in quattro numeri, o in due lancette, una frase come “vediamoci al calar del sole”.
Questo tempo che noi abbiamo “inventato”, fatto da ore, minuti e secondi, ci dovrebbe dunque solo aiutare a coordinarci e stabilire un equilibro unico tra tutti noi essere umani. Umani che, grandi pensatori ma pessimi fabbricanti, l’hanno anche sbagliato a gestire. Questo “tempo” dell’orologio, non quello del sole. Altrimenti non dovremmo chiudere un occhio (avanti e indietro) due volte all’anno, nel nostro goffo tentativo di inseguire questo tempo; quello del sole, non dell’orologio. Viene da pensare che Non è tempo per noi, come dice Ligabue nella sua canzone.
E così facendo, sarà perché siamo addormentati, sarà perché la giornata è breve e di tempo a parlare del tempo ne abbiamo solo quando siamo negli ascensori con degli estranei, gli orologi riacquistano il loro status da “metronomo umano” e tutti corrono fuori, sereni o imbronciati, a guadagnarsi il pane. Però, in questa cosa del tempo, sarebbe bene indagarci sù. Nel nostro rigido modo di pensare al tempo come giornate scandite in 24 ore, ci sono stati alcuni outsider che hanno tirato fuori delle visioni incredibili.
Ad esempio: un rabbino, di cui non rammento il nome, ha condotto degli studi nei quali dimostrò, in maniera scientifica e teologica, che se esiste l’inferno così come se lo immaginano i cristiani, questo non potrebbe durare più di trentatré anni. Ora, premettendo il fatto che sono curioso e scettico su come si possa dimostrare scientificamente una cosa del genere, in ogni modo mi viene da pensare: non sarebbe grandioso? Sapere che ogni male possibile che possiamo compiere qui sulla Terra corrisponde, in un ipotetico inferno part-time, a soli trentatré enni? Non è che siano pochi, ma se li mettiamo in confronto all’eternità, ecco, diciamo che un po’ più rilassato lo sono.
Oppure, c’è chi ha calcolato l’orario delle giornate su Marte, constatando che durino ventitré minuti in più di quelle sulla Terra. Immaginatevi i primi umani che andranno a vivere là, quando alla fine del giorno si ritroveranno con 23 minuti in più rispetto agli umani sulla Terra.
Ventitré minuti per fare quello che vogliono: l’amore, stare con i figli, guardarsi un’altra puntata della loro serie prima di dormire, leggersi un altro capitolo di quel libro che tengono comodino (sempre che su Marte ci siano i comodini). Verrebbe fuori che in un anno, gli abitanti su Marte guadagnerebbero una settimana in più rispetto a quelli sulla Terra (fate pure i vostri calcoli, malfidenti). Poi certo, in una settimana si possono fare o non fare un sacco di cose. C’è chi in quel lasso di tempo ha creato l’universo, ma io mi accontenterei anche solo di scrivere la sceneggiatura di un film (faccenda, a volte, molto più complicata del realizzare un semplice universo nero con dei puntini colorati).
Potrei andare avanti a lungo a raccontare come il tempo sia solo un concetto fragile e ingannevole capace di limitare il nostro modo di vedere il mondo. Potrei farlo, ma oggi un’ora della giornata è andata perduta e non posso certo starmene qui a recuperarla dedicandole un articolo.
Posso solo concludere suggerendo a voi lettori di provare a pensarci su due volte quando riguarderete la prossima ora legale. Provandola a pensare non come un semplice mezzo per stabilire quante ore in più o in meno abbiate dormito, ma, invece, come un modo per spalancarvi al mondo liberandovi da quel vestito stretto delle ventiquattro ore al giorno, scoprendo così che l’unico tempo reale da vivere, è il vostro. Se non ci provate, siete dei babbuini.
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