Raccontiamo l’attualità con una canzone
Difficile che ad uno come me capiti di trovarsi a Genova con l’impellente bisogno di andare in bagno. Ma la vita è strana, amici, e tutto questo e molte altre cose capitano di continuo in questo lungo spettacolo senza copione che è la terra.
Perché mi trovavo a Genova è presto detto: per trovare un bagno. Il perché cercassi lì uno sbrigativo fabbisogno così naturale è materia che rientra nei miei personali affari e nella privacy la quale noi autori insozziamo così spesso e così deliberatamente. Quello che è interessante raccontare, come il buon detto ci insegna, non è la meta, ma il viaggio.
Va da sé, quando si cerca un bagno si vaga molto in giro. Nel mio caso, un’ora esatta. Troppo poco per vedere e capire qualsiasi cosa, fattispecie un posto assurdo e misterioso come Genova.
La prima cosa che mi ha stupito è questa: ma dove diavolo e il mare? È l’unico città dove il mare sembra nascondersi di continuo, ne vedi la coda come fosse una lucertola che fugge dentro una siepe. Scappa, il mare di Genova. Sembra richiamato da una forza maggiore, come se quello non fosse davvero il suo posto. E a guardarlo bene, non ha tutti i torti.
Perché sopra il mare, appena i battelli ormeggiano e l’odore della focaccia si mischia con quella dell’acqua salata, ci sono loro: i genovesi. Strana razza, dico sul serio.
Sembrano possedere nel loro sguardo, prima che nel loro cuore, un qualcosa che ha a che fare con la nostalgia. È difficile da spiegare. Per certi versi sono simili al mare. Sembrano nascosti, vivono come se la loro città, Genova, non fosse il loro posto.
È come nella canzone Genova Blue quando Fabrizio De André dice:
“Io questa notte ti vorrei parlare
e invece parto per mandarti a dire
che tu sei bella, si, ma da ricordare”
Gente nostalgica. Poi certo, trovi il bambino che ti fa la linguaccia e ride, il panettiere che non ti guarda in faccia e sbuffa, il barbone che guarda il mare e sorride; insomma, c’è di tutto.
E in tutto questo, tanta nostalgia. Anche le case, se potessero, sembrano voler prendere una barca vicino a loro e scappar via da quella città così assurda. Poi però non lo fanno, come non lo fanno i genovesi, che in realtà amano la terra, forse perché sanno che non c’è casa più bella di quella che vuoi lasciarti alle spalle.
Nessuna felicità più preziosa di quella appena finita. Nessuna storia più vera di quella appena raccontata.
In questo sono anni luce avanti a noi. In questo e nel fare la focaccia. I migliori, giuro.
Così mi sono fermato a guardare il mare e a pensare.
Genova. Invasa dai rumori, traboccante di storia e ricordi, ponte traballante di un futuro decadente: forse è per questo che da posti del genere vengono fuori poeti come De André.
Come omaggio ai suoi abitanti, per rendere grazie a tutta quella nostalgia e bellezza.
Perché è un posto dove è difficile non sentirsi soli. Dove sei costantemente trattenuto dal partire e dal rimanere. Sedotto ed esausto dalle sue mille onde che ti entrano addosso.
Ora devo andare Genova, l’ora è finita. Volevo dirti un’altra cosa bella, ma nel saper dosare le parole e sentimenti sono sempre stato scarso come nel capire i posti che visito e le persone che amo.
Dunque addio, anche se con te non lo è mai.
È stata proprio una bella oretta. Toh, ho persino trovato un bagno.
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