A tu per tu con la giovanissima cantante italo-brasiliana, in uscita con il suo secondo progetto discografico “Alma“
A qualche mese di distanza dalla nostra precedente chiacchierata sanremese, ritroviamo con piacere Gaia in occasione dell’uscita di “Alma”, disponibile per Sony Music dal 29 ottobre. Un disco in linea con la sua naturale evoluzione, il degno erede del precedente “Nuova genesi”. A poche ore dalla pubblicazione di questo nuovo interessante progetto, abbiamo il piacere di ospitarla nuovamente tra le nostre pagine per approfondire la sua trasversale visione di vita e di musica.
Ciao Gaia, bentrovata. Comincerei chiedendoti a cosa si deve la scelta del titolo e cosa rappresenta esattamente per te la parola “Alma”?
«L’ho scelto essenzialmente perché nel momento in cui ho scritto la title track ho capito quello di cui avrei voluto parlare. Era un periodo di riscoperta di me stessa, complice il lockdown che ci ha spinti ad interrogarci in maniera quasi ossessiva su ciò che ci stava capitando. Questa canzone è arrivata dopo una parentesi per me molto felice, che andava in contrasto con tutto quello che stava accadendo intorno. Solo oggi mi rendo conto di quanto sia stato difficile affrontare emotivamente quella situazione, credo siano state fondamentali per me sia la terapia che la meditazione. La continua ricerca di risposte ha dato seguito e motivo a questo disco, un lavoro che arriva dal profondo e, quindi, dall’anima… per questo ho deciso di intitolarlo così».
Qualche anno fa Caparezza cantava che il secondo album è sempre quello più difficile. Nel tuo caso, ci sono state delle particolari criticità da superare?
«Più che difficoltà, credo che il viaggio sia andato avanti in maniera molto veloce e con un atteggiamento piuttosto punk per quanto riguarda la scrittura. La scelta delle canzoni è stata dettata da un solo criterio: ogni traccia doveva avere una giustificazione ed essere più sincera possibile. Tutti i pezzi sono stati scritti in maniera istintiva e di getto, senza costruzioni, incasellamenti o blocchi dall’esterno. Le strutture dei vari pezzi non sono state riaperte più volte, nei testi ho voluto raccontare le molteplicità della mia anima, sia nelle lingue utilizzate che nelle tematiche trattate».
Di fatto, “Alma” è un lavoro che unisce influenze sonore e linguistiche in maniera naturale, abbattendo barriere ed etichette. L’impressione è che l’utilizzo dell’italiano piuttosto che del portoghese, sia stato frutto di un processo molto spontaneo…
«Assolutamente sì, a livello di impostazione e di scrittura è venuto tutto molto naturale. L’istinto mi diceva se esprimermi in portoghese o in italiano. Il risultato è un disco che sento mio al 100%. Durante la quarantena sentivo l’urgenza di aggrapparmi a qualcosa di sincero, dato che tutto quello che c’era fuori mi sembrava così assurdo. Credo sia stata una risposta onesta e reazionaria agli impulsi esterni».
Un disco molto omogeneo anche per quanto riguarda la presenza degli ospiti in scaletta provenienti da mondi diversi. Con quali criteri sono stati selezionati i featuring?
«Anche in questo caso ho seguito la strada della sincerità, cercando di coinvolgere colleghi che si avvicinano molto al mio modo di essere, dunque le scelte sono state istintive e inclusive. I Senton sono come dei fratelli, perché rappresentano esattamente una versione, a triade e molto più colorata, di quella che sono io. Tedua possiede uno dei flow più fuori dagli schemi della scena rap, in più ha un’anima bellissima e molto pura. Francesca Michielin e Margherita Vicario sono due artiste che amo follemente. Con loro non c’è stata alcuna difficoltà di comunicazione, ci siamo capite sin dal primo istante alla perfezione. Poi abbiamo Sean Paul che, per amore della musica, ha deciso di farmi questo regalo incredibile. Anche se non ci siamo mai incontrati personalmente, l’ho sempre stimato sia umanamente che professionalmente. Gemitaiz lo apprezzato per la sua evoluzione, perché ha saputo concedersi a nuovi mondi, aprendosi ad una visione musicale molto più ampia. Infine, J LORD è un’artista della nuova generazione, nonostante abbia diciassette anni ha già una penna molto matura. E’ stato molto figo collaborare con tutti loro, perchè sono artisti che stimo sopra e sotto il palco».
Per concludere, quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgogliosa di “Alma”?
«Sincerità, inclusione e colore. E’ un album positivo, un invito ad affrontare i momenti difficili abbandonandosi alle proprie passioni. Questo disco me lo immagino proprio come un bel cielo azzurro, pieno di sole e di nuvolette sofficissime sullo sfondo (sorride, ndr)».
Nico Donvito
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