A tu per tu con il cantautore classe 95, in uscita con il suo nuovo album intitolato “Benevolent“
Animale generico, nel senso buono del termine, che sfugge dalle etichette. Il perso artistico di Luca Galizia, alias Generic Animal, lo dimostra… dall’hardcore e dall’emo, fino ad arrivare al suo nuovo progetto discografico “Benevolent”, in uscita per La Tempesta Dischi a partire dal 18 marzo.
Ciao Luca, benvenuto. Partiamo da “Benevolent“, a cosa si deve la scelta del titolo?
«”Benevolent” è il nome più oscuro, ma gentile, che potevo dare a questo album. Avevo letto su di un libro di storie e leggende giapponesi di una creatura lacustre di fiume che si chiamava proprio, la solista storia di un cattivo mascherato da buono. Mi sembrava che questo titolo rappresentasse sia l’ombra che la facciata del disco».
Il sottotitolo potrebbe essere: “l’arte di addomesticare i mostri”, quali sono questi demoni che hai affrontato e accolto nella tua vita?
«I mostri da addomesticare sono sia le cose buone che quelle cattive, ad esempio il non sapere gestire l’entusiasmo e l’euforia, come in questo momento che esce il mio disco ma c’è la guerra. Gestire vari stati d’animo, dalla delusione all’invidia, durante dei periodo in cui non c’è tanto contatto umano. Sentirsi a tratti una riserva, uno di serie C. Un po’ tutte questa macrosensazioni che nel mio cervello assumono le sembianze di veri e propri mostri. Il segreto, forse, sta nel cercare di attribuirgli una facciata differente per poterli affrontare».
Riguardo il processo creativo del suono, qual è stata la tua visione musicale del disco?
«Diciamo che è un po’ il primo disco a cui riesco a dare una visione a tutto tondo di quello che intendo a livello di produzione. Sono partito da demo molto più solide, canzoni finite con beat e chitarre. Poi con il producer Carlo Porrini, alias Fight Pausa, abbiamo fatto un lavoro di rifinitura, registrando di nuovo tutto, ma cercando di tenere la cifra iniziale dei miei provini. Diciamo che è un album ispirato ai dischi che avrei voluto fare quando avevo quindici anni».
Quali ascolti hanno ispirato e influenzato la lavorazione di “Benevolent”?
«L’ispirazione è un po’ quella fine anni ’90, ascolti che ho assimilato e che porto ancora oggi dentro di me. Sicuramente tendo ad ascoltare molta più musica internazionale che italiana, non mi sento un esterofilo, ma mi capita più raramente che mi piaccia qualcosa all’interno dei confini nazionali. Butto spesso un occhio su ciò che funziona fuori, la ricerca per me è fondamentale. So che c’è qualcosa da migliorare a livello di linguaggio, ma so anche che prima o poi ci arriverò».
Per concludere, quanto ha inciso il periodo che stiamo vivendo in questo progetto?
«La pandemia ha fatto un po’ da segnalibro, ho cominciato a scrivere le tracce a fine 2019 e ho finto nel 2021. I due lockdown hanno scandito un paio di fasi, a livello di testi la frustrazione si avverte. Mi sembra che il Covid abbia diviso la categoria di chi ha avuto sfiga e di chi è stato più furbo. Se posso dirtela tutta è stato un album liberatorio, per il tempo che mi sono concesso e i mezzi che ho utilizzato per realizzarlo».
© foto di Guido Borso
Nico Donvito
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