A tu per tu con l’artista bolognese, disponibile in radio e negli store con il nuovo singolo “Batman & Bugo”
A circa un anno di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo Gerolamo Sacco per parlare del suo nuovo singolo “Batman & Bugo”, disponibile a partire dallo scorso 11 settembre. Un brano sia descrittivo che evocativo, impreziosito dal featuring con Devon Miles. In occasione di questa nuova uscita, abbiamo incontrato per voi il cantautore classe ’80, per approfondire la conoscenza della sua visione di vita e di musica.
Ciao Gerolamo, bentrovato. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Batman & Bugo”, un titolo curioso, cosa racconta?
«”Batman & Bugo racconta il 2020, racconta l’Italia in questo periodo storico ed è una storia tra due ragazzi che nasce sui tetti di Bologna. Saliamo sui tetti per vedere la città dall’alto, lei è fantastica, io stravagante e ad un certo punto le ricordo Batman, perchè sono buono e con “valori nobili” ma, allo stesso tempo, bisognoso di esprimermi in modo eclettico ed esuberante, con loghi proiettati nel cielo e hypercar galattiche. Con un “arsenale ritmico” sottoterra nel garage.
Appena realizzo la storia in cui mi sto buttando (“mi tuffo nel tuo mondo e il cuore si allontana”) arriva il lockdown, che fa entrare in scena un nuovo supereroe, il cantante Bugo: la storia che andava forte all’epoca, se vi ricordate, era proprio la storia di Bugo che, per colpa di Morgan, scappa dal palco di Sanremo (“Che succede? Dov’è Bugo?”), e uscendo di scena diventa un eroe. Allora davvero non si parlava d’altro, poi all’improvviso la pandemia prende il sopravvento e le città si svuotano. Bugo esce di scena ancora una volta, diventa in qualche modo un simbolo di un momento spensierato della storia, così l’ho visto come un supereroe, un po’ come Batman. Che se ci pensi anche Batman è un eroe da “lockdown”, anche se ha la mascherina al contrario. Nascosto ma esuberante, malinconico ma ambizioso…».
Quali riflessioni ti hanno ispirato questo tipo di racconto?
«Diciamo intanto che per la prima volta non ho guardato al passato o al futuro, in questa canzone sono dentro il mio presente. La storia nasce da fatti reali, la ragazza che mi ha detto che sono come Batman diciamo che ha dato parecchia ispirazione…Forse perchè mi piace mettermi la maschera quando dentro sono timido ed introverso! Inoltre l’ispirazione di questo racconto è la resilienza: una storia che sopravvive ad un lockdown planetario, il cuore che si innamora quando “brucia ancora”. Tutte le parole della canzone parlano di riuscire, di farcela, di saperne uscirne fuori con le proprie risorse, con i propri arsenali costruiti sottoterra per sopravvivere. E anche se non sei un Batman che coltiva risorse e scappi come Bugo, puoi comunque diventare un eroe. Quello che fa la differenza? Quanto è puro il cuore».
C’è una frase che, secondo te, rappresenta e sintetizza al meglio il senso del brano?
«“Ci si rivede, stammi bene, fa un saluto a casa”. Quella frase, che nella canzone è rivolta al cuore che se ne va, è l’eterna lotta fra ragione e sentimento, significa lasciare capitare dentro di noi quello che deve capitare. Ma è anche la frase che ci si incomincia a ripetere quando ci si sente a distanza. La consapevolezza di qualcosa di fisico che si allontana mentre qualcos’altro di più etereo e intangibile si sta avvicinando».
Dal punto di vista del sound, a cosa si deve la scelta di questo tipo di sonorità?
«”Batman & Bugo” è un rock elettronico realizzato con strumenti ibridi tra synth sintetizzatori e strumenti reali: la batteria, le percussioni, la tromba, il piano e l’orchestra sono reali, così come il sample di oud (l’oud è una specie di liuto mediorientale) che sentite dall’inizio, mentre tutto quello che sta intorno a partire dalle frequenze sub fino ad arrivare ai pad è elettronica. Non c’è chitarra elettrica, ma nell’animo è un pezzo rock classico, ed è tutto da ballare. Vi dirò una curiosità, quando ho arrangiato il brano in studio volevo un mood che riuscisse a far ballare e a far muovere la testa pur andando molto lento in termini di velocità, parlo di battute al minuto.
La melodia della canzone, per essere “cantabile” ha bisogno dei suoi spazi, quindi la volevo lenta, ma allo stesso tempo dare la sensazione di massimo ritmo. Il pezzo sembra veloce, in realtà è poco più lento dell’Ombelico del Mondo o di Riccione, per farti degli esempi di canzoni famose. Per realizzare questo effetto, per cercare in qualche modo di ingannare il tempo, ho giocato tantissimo sui suoni e sugli arrangiamenti. Il brano suona pulito, ma spinge sulle basse frequenze e ha tantissimi dettagli che contrappuntano ogni punto dello spazio sonoro. Orchestrine che fanno appoggi de sinistra a destra, cori che arrivano e poi scompaiono, groove percussivi che si alternano fra loro. Così lo senti un brano da ballare, ma se togli tutti i giochi che ho fatto, a livello di note quello che ti rimane è un lento!».
Cosa aggiunge “Batman & Bugo” al tuo percorso? In particolare rispetto al tuo precedente album “Mondi nuovi”
«A pensarci bene il salto che c’è da “Mondi nuovi” a “Batman & Bugo” è che, per la prima volta, sono io nel tempo e nel luogo in cui realmente inserito come persona. Ho viaggiato nel passato (Alieno, il primo album) e nel futuro (Mondi Nuovi, il secondo) ma adesso eccomi qui. Non so come mai abbia scritto per la prima volta qualcosa di reale ma dopo aver scritto i Mondi Nuovi ho vissuto un periodo molto complesso della mia vita: in qualche modo dentro quel viaggio mi ci sono trovato dentro, come se avessi predetto il futuro. E quando scoppia la pandemia, nella primavera del 2020, il viaggio dei Mondi Nuovi, diventa il viaggio che un po’ tutti noi siamo costretti a percorrere.
Forse mi sono spaventato, non lo so. So solo che questa canzone è arrivata all’improvviso. Le prime cose che ho scritto sono state il ritornello e il giro di tromba. In quelle note ci sentivo qualcosa di speciale, di magico, così ho scritto il resto del brano. Ho cercato di farlo con lo stesso atteggiamento che volevo comunicare, buttandoci dentro la mia parte più resiliente e chissà, forse anche più divertente. Mi sono detto: con questa storia voglio far divertire le persone, regalare loro una sensazione nuova».
Che ruolo gioca la musica nel tuo quotidiano?
«Ci sono immerso dentro. Ho fondato un’etichetta anni fa e oggi è il mio lavoro, produciamo diversi personaggi, quindi la mia giornata tipo è in studio! Diciamo che al mattino mi occupo di più della musica che devo fare proprio per lavoro, perchè spesso sono idee già pensate ma da sistemare e da fare funzionare, quindi mi serve lucidità estrema. Più vado verso sera più lo spazio che dedico alla musica è per le mie idee creative e per la musica che ho piacere ad ascoltare. Quando invece sono in vacanza o nel weekend riascolto le cose fatte in settimana, quelle che stanno uscendo anche per avere un altro punto di vista, e tutta la musica che mi piace».
Per quanto riguarda i tuoi ascolti, tendi a cibarti di un genere in particolare oppure ti reputi abbastanza onnivoro?
«Sono fin troppo onnivoro. Sia per formazione, sia per deformazione professionale. Vengo dall’elettronica ma ho sempre avuti ascolti rock, e poi ho fatto studi classici di composizione. Allo stesso tempo. producendo per lavoro dischi di tanti artisti diversi non posso mai fermarmi su un genere in particolare. Altrimenti sarebbe un peccato e, ti dico la verità, neanche mi piacerebbe. La musica è meravigliosa in quasi tutte le sue forme espressive, in modo diverso. Poi ogni mondo ha le sue brutture, come nel cibo esistono le caramelle verdi all’olio di colza.
Ma quasi tutto il resto è meraviglia pura, non si può dire che ci sia un genere più bello di un altro. Ogni mondo musicale, dal jazz alla progressive house per dirti due estremi, ha i suoi artisti, i suoi pionieri e i suoi esploratori. In fondo la musica è cibo per la mente e per il cuore. Mi piace la metafora che fai con il cibo usando il termine “onnivoro”! Se ami la cucina non puoi amare soltanto un menù, ogni piatto è un mondo a parte. Poi c’è quello che ti nutre di più nel quotidiano, quello di cui ti cibi perchè ti fa più bene, la roba forte per i momenti particolari.
Io amo cercare la musica negli spazi dove c’è una certa selezione, non sono un tipo da Youtube, preferisco Beatport per intenderci. E se dovessi portare tre album su un isola deserta ti direi Sergent Pepper’s dei Beatles, la Sesta di Beethoven e Earth di Vangelis, il disco che ascolto tutte le volte che devo fare un lungo viaggio in auto».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«Domanda bellissima! Assolutamente e senza ogni dubbio il momento subito dopo l’intuizione melodica, quando scelgo gli accordi. Io vivo quel momento in maniera fisica, è come uno stato di estasi. Praticamente mi funziona così. Ho una intuizione melodica, di testo, anche solo due parole e tre note, non necessariamente una cosa completa. Questa intuizione melodica incomincia a girarmi in testa e mi fa elaborare pensieri, in pratica funge da collante di cose che penso in quel momento, durante tutto l’arco della giornata.
Poi, ad un certo punto, quell’intuizione diventa così presente nella vita quotidiana che la sento in testa anche quando bevo il caffè: ecco, quello è il momento di farla uscire. Così mi metto a stendere gli accordi, a creare l’armonia del brano, un arrangiamento basico sulla quale poterla cantare e sviluppare, farla farla diventare una canzone vera. In quel momento, quando l’arrangiamento enfatizza l’intuizione che ho avuto. Ho una sorta di godimento fisico, come se un pezzo di me si stesse unendo con qualcosa di più complesso, di ancestrale! Quando ho scritto “Batman & Bugo” l’intuizione è stata “mi tuffo nel tuo mondo e il cuore si allontana”.
Mi girava in testa da giorni. Il “ci si rivede stammi bene” è arrivato dopo aver trovato il primo giro di accordi sul quale doveva stare quella melodia! Poi è nato tutto il resto. Passato il momento di delirio creativo in genere mi ritrovo in mano metà canzone già finita e il resto lo sviluppo di mestiere. Perchè poi si tratta di registrare, mixare, masterizzare, insomma tutti i lavori di studio che sono da fare per portare una canzone a fare una figura degna in radio».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso in questi anni dalla musica?
«Una cosa che ho imparato è che è più importante il viaggio della meta. Sembra una frase banale, una di quelle frasi da meme, da “buongiornissimo caffè”, ma vi assicuro che ci ho messo anni a comprendere il valore di questo concetto. Quello di poter fare musica è un dono che ti crei da solo, se hai qualcosa da dire al mondo, ma poi va sviluppato e mantenuto vivo in una certa maniera. Scrivere una canzone per il piacere di scriverla, di donarla agli altri, e non perchè ti aspetti che debba per forza succedere qualcosa. Una volta che poi la canzone c’è, è venuta al mondo, se vuoi che “succeda qualcosa” puoi affidarti a dei professionisti che sanno di cosa si sta parlando, ma quella è un’altra storia.
La cosa importante è riuscire ad essere nella dimensione creativa che ti permette di dare il meglio di te stesso quando scrivi. Tirare fuori nuove sensazioni, nuove letture di quello che ci succede intorno, dare risposte: tutto questo deve diventare un piacere e non l’obiettivo finale. Se fare questo diventa un piacere, ci si può esprimere per davvero. E di conseguenza anche poter creare cose interessanti per le altre persone e i loro bisogni emotivi. La cultura di oggi tende a farci concentrare sull’obiettivo finale ad ogni cosa che si fa, persino quando si parla di crescere una persona. Quando invece ciò che conta davvero è solo il cammino».
Nico Donvito
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