giovedì, Marzo 28, 2024

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Gianluca De Rubertis: “Il tempo da ragione o torto alle cose” – INTERVISTA

A tu per tu con il cantautore pugliese, in uscita con il suo terzo album solista intitolato “La violenza della luce

Particolarmente evocativo e ispirato, ma al tempo stesso accessibile nei suoni e nelle intenzioni, così potremmo definire “La violenza della luce”, il nuovo lavoro di Gianluca De Rubertis, disponibile per RCA Numero Uno/Sony Music a partire dallo scorso 23 ottobre. Una semplicità sonora che non snatura la sua scrittura profonda e raffinata, bensì ne mette in risalto ulteriormente le peculiarità, offrendo all’ascoltatore un vasto catering di spunti di riflessione di cui potersi cibare.

Ciao Gianluca, benvenuto. Partiamo da “La violenza della luce”, il tuo terzo album solista, il primo in major. Da quali spunti sei partito e come si è sviluppato l’intero processo creativo?

«Almeno per quanto mi riguarda, non c’è mai un punto di partenza, bensì ce ne sono centinaia di migliaia. Credo che la musica e le parole vengano in soccorso per assecondare ciò che perversa nelle nostre meningi, diciamo che c’è stato un momento di start in cui ho cominciato a scrivere, sono partito, ma senza conoscere la destinazione del viaggio. La fase compositiva de “La violenza della luce” è stata accompagnata da una temperie emozionale particolarmente importante, da un grande senso di empatia con le cose, con gli oggetti animati o inanimati, con gli umani e i non umani. E’ un disco che considero molto notturno per le sue sessioni di scrittura, ma che reclama la luce del giorno, intesa come sinonimo di semplicità se vogliamo, a dispetto di pensieri sempre molto complicati».

Gianluca De Rubertis, La violenza della luce

E’ un disco d’autore, ma dalle intenzioni pop. In questo caso, il sound leggero non è altro che il tappeto ideale per ospitare riflessioni più profonde. Oggi come oggi, secondo te, la musica necessita di un codice sonoro particolare per veicolare un certo tipo di messaggi e per catalizzare l’attenzione dell’ascoltatore?

«In questo caso, questo desiderio di semplicità ha preso lo spazio del suono, del vestito sonoro dell’intero disco, mentre le riflessioni piò tortuose hanno trovato dimora nei testi. Dipende dai gusti, certo è che i grandi numeri sono orientati su messaggi piuttosto semplici, questo non significa che il Requiem di Mozart non sia diventato poi altrettanto popolare. Alcune cose ci mettono un po’ più di tempo per essere digerite da tanti. Detto questo, secondo me non è necessario che i dischi siano veicolati in maniera semplice, ci sono lavori meravigliosi che, una volta digeriti, vengono amati tanto quanto i progetti vestiti di semplicità, cito ad esempio “Anima latina” di Lucio Battisti. Alla fine, come diceva Schiller, il tempo da ragione o torto alle cose».

Il proseguo ideale di un album è sempre la tournèe, anche se in questo momento storico le restrizioni ce lo impediscono. Qual è il tuo pensiero riguardo l’attuale condizione di salute del settore musicale?

«Se l’abbiamo preservata fino ad adesso, arrancando e facendoci non in quattro ma in multipli di quattro da marzo fino ad oggi, se continua così, penso che potremmo andare incontro ad una situazione pressoché comatosa. Così come è in coma la cultura, l’intero settore, già da prima del virus, se ci si mette anche il Governo con l’ennesima mazzata, certo è che non ci possiamo aspettare grandi cose. Forse ci stiamo dimenticando della potenza innovativa del linguaggio, dell’importanza della condivisione, ma anche del confronto e del contraddittorio».

Per concludere, alla luce del complicato momento che stiamo vivendo, quali suggestioni e quali riflessioni ti piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà “La violenza della luce“?

«Spero che ognuno possa verificare le proprie sensazioni rispecchiandosi nelle canzoni. Se c’è una scintilla o un qualcosa che fa scaturire una reazione, per quanto mi riguarda l’obiettivo è raggiunto. Quale sia la sensazione mi interessa poco, perchè nel momento in cui andiamo a pubblicare un disco, quelle canzoni non sono più nostre, diventano di chi le ascolta. Potrebbe sembrare una provocazione, ma io credo che, in questo momento, sarebbe molto più interessante intervistare le persone che hanno ascoltato l’album, piuttosto che il sottoscritto».

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Nico Donvito

Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.
Nico Donvito
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Appassionato di scrittura, consumatore seriale di musica italiana e spettatore interessato di qualsiasi forma di intrattenimento. Innamorato della vita e della propria città (Milano), ma al tempo stesso viaggiatore incallito e fantasista per vocazione.