A tu per tu con Gianmarco Carroccia, per parlare dello spettacolo in omaggio a Lucio Battisti realizzato con Mogol. La nostra intervista al cantante
Domenica 3 novembre al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano si terrà “EMOZIONI, La mia vita in canzone…”, lo spettacolo che vede Gianmarco Carroccia e Mogol insieme sul palco per raccontare Lucio Battisti in un viaggio tra le canzoni che hanno segnato la storia della musica italiana.
Un concerto narrato per ripercorrere la nascita di alcuni tra i brani più famosi del celebre duo Mogol-Battisti, attraverso la voce di chi ne ha composto i testi e di chi li interpreta oggi. A rendere ancora più speciale lo spettacolo milanese sarà la presenza sul palco della Emozioni Orchestra composta da 20 elementi diretti dal Maestro Marco Cataldi, autore anche degli arrangiamenti.
Di seguito la nostra intervista a Giancarlo Carroccia.
Gianmarco Carroccia, l’intervista
Come nasce l’idea di questo spettacolo e come si evoluta nel tempo?
«Diciamo che è stata una mia idea, diciamo, quella di dare uno spessore culturale considerevole a questo progetto affinché non risultasse una semplice esecuzione di brani, spiegandone un po’ la genesi attraverso gli aneddoti, il significato reale di ogni canzone, grazie naturalmente al preziosissimo apporto del Maestro Mogol».
Com’è lavorare a stretto contatto con una leggenda vivente della musica italiana?
«Un onore, perché assorbi veramente tanto, non solo sul piano artistico, ma anche sul lato umano. Poi ci si diverte anche tanto perché lui è una persona simpaticissima e ha spirito di un ragazzino. Molto spesso fatichiamo a stargli dietro, perché è istancabile. E poi come ti dicevo ogni volta che si passa del tempo insieme, c’è sempre qualcosa di nuovo da imparare e questa è una cosa molto bella, oltre che un grandissimo privilegio, visto che stiamo parlando di uno dei più grandi, se non forse il più grande, poeta del Novecento e dei giorni nostri».
Pur comprendendo la straordinarietà del repertoio di Lucio Battisti, quali sono secondo te i pezzi che più di tutti hanno superato le barriere del tempo e possono essere considerati oggi degli Evergreen?
«Sono particolarmente legato al repertorio pubblicato a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70, dove Battisti e Mogol fondarono l’etichetta indipendente Numero Uno. Credo sia stato quello il periodo di massima espressione, perchè scrivevano un pezzo ogni 15 giorni, anche per altri artisti, tutti grandi successi. Basti pensare che nel 1971, i primi dieci posti dell’hit parade erano occupati da brani scritti da loro. Sicuramente esistono degli evergreen come “I giardini di Marzo”, “Il mio canto libero”, “Pensieri e parole”, “Mi ritorni in mente”, “Dieci ragazze”, “Un’avventura” e “Con il nastro rosa”, canzoni sicuramente un pochino più leggere rispetto a quelle che verranno negli anni successivi, dotate però di una bellezza indiscutibile».
Per concludere, qual è la lezione più importante, l’insegnamento che senti di aver imparato dalla musica e perché no anche dall’esempio di Lucio Battisti?
«Sicuramente nella musica deve esserci verità, nelle canzoni bisogna raccontare della propria vita, perché questo l’ascoltatore riesce a percepirlo. Ecco perchè le canzoni di Mogol-Battisti le cantiamo ancora oggi, dopo più di cinquant’anni queste, perchè parliamo di episodi in cui noi possiamo ritrovarci nella vita quotidiana. Di Lucio apprezzo anche il fatto che sia stato una persona particolarmente discreta nonostante tutto il successo che ha avuto. Quello secondo me è stato proprio un fattore di grandezza. Una persona semplice e discreta, senza rinunciare alla propria vita privata, però allo stesso tempo facendo delle cose straordinariamente importanti. Dove io devo dire, anche mi rispecchio profondamente perché amo tanto la discrizione e la riservatezza.».
Nico Donvito
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