venerdì 22 Novembre 2024

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Gianni Bismark: “Mostrare noi stessi senza vergognarsi di ciò che siamo” – INTERVISTA

A tu per tu con il talentuoso rapper romano, in uscita con il suo nuovo album intitolato “Nati diversi

Tempo di nuova musica per Tiziano Menghi, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Gianni Bismark, reduce dal successo ottenuto lo scorso anno con “Re senza corona, l’album che lo ha consacrato agli occhi di critica e pubblico. Il rapper romano torna sulle scene con un nuovo disco intitolato “Nati diversi”, disponibile dal 27 marzo su tutte le piattaforme digitali. Approfondiamo la sua conoscenza.

Ciao Tiziano, benvenuto. Partiamo dal tuo nuovo lavoro “Nati diversi”, a cosa si deve la scelta del titolo e della copertina di questo disco?

«Il titolo è riferito ad un argomento molto generale, in un mondo pieno di persone costruite dall’atteggiamento forzato, ho voluto sottolineare l’importanza dell’essere nato diverso, di chi ha voglia di essere originale. La copertina sottolinea questo concetto, in mezzo a persone eleganti, vestite in modo composto e vistoso, ci sono io sul tavolo in modo tale da sottolineare questo mio essere orgogliosamente diverso».

In un’epoca in cui vige una sorta di omologazione, secondo te, quali sono gli aspetti su cui ognuno di noi dovrebbe lavorare?

«Credo che sia importante mostrare fondamentalmente noi stessi, non vergognarsi di ciò che siamo, perché non tutti siamo nati uguali e questo è un bel vantaggio, non certo un problema».

A livello di tematiche, cosa hai avuto l’urgenza di raccontare?

«Guarda, io racconto e trascrivo sul foglio tutto quello che vedo attorno a me. In genere tendo a partire da uno spunto personale per cercare di rendere il racconto universale, adattabile a chiunque, non vado a raccontare nei minimi particolari quello che mi è successo, ma parto da quella situazione per esplorare una condizione che può essere comune anche ad altri».

Dal punto di vista musicale, la scelta di lavorare con più producer ha sicuramente giovato per la varietà delle sonorità. Probabilmente hai sperimentato più che in passato, cosa ti ha spinto a cercare nuove soluzioni?

«Mi ha aiutato un sacco Franchino (Franco126, ndr), parlare con lui mi ha in qualche modo sbloccato, portando a capire che anche io potevo lasciarmi andare con il cantato e, di conseguenza, che potevo benissimo alzare la voce e utilizzare sonorità differenti, cimentandomi in cose diverse rispetto a quelle che ho sempre fatto. Infatti, nel mio precedente disco avevo realizzato con lui una traccia che si chiamava “Università”, da lì è partito un po’ tutto».

Tra i featuring presenti in scaletta in questo nuovo lavoro, spiccano le collaborazioni con Tedua, Geolier, Franco126 e Quentin 40. C’è stato un criterio per quanto riguarda la scelta degli ospiti?

«Mi piace collaborare con persone con le quali ci stimiamo e rispettiamo a vicenda, credo che alla base di qualsiasi featuring ci debba essere questo spirito, perché alla fine te ne accorgi quando una collaborazione è nata a tavolino, tanto per i nomi o per i numeri, mentre secondo me ogni incontro musicale deve avere un peso e un’anima».

C’è stato un momento preciso in cui hai capito che tu e la musica eravate fatti l’uno per l’altra?

«In realtà l’ho iniziato a capire dopo “Re senza corona”, l’ho percepito attraverso i vari pareri e i vari messaggi che mi mandano i fan sui social o quando mi fermano per strada. Sono orgoglioso di essere arrivato fin qui senza spinte, senza scorciatoie, senza dover fare gossip, semplicemente attraverso la mia musica».

Dopo il successo ottenuto con il precedente lavoro “Re senza corona”, l’hype intorno al tuo progetto è sicuramente cresciuto. Quali sono le tue personali aspettative?

«Guarda, in genere non mi faccio mai troppi viaggi, rimango con i piedi per terra e aspetto di vedere quello che succedere. Vivo il momento, senza aspettative, in questo modo mi godo il presente e tutto ciò che di buono arriva».

Venendo all’attualità, l’emergenza sanitaria Covid-19 ha mutato, seppur momentaneamente, la nostra quotidianità. Tu, personalmente, come stai vivendo questo momento?

«Me ne sto a casa, come tutti, esco solo per fare la spesa, questo ci dicono e questo ci tocca fare. L’augurio è che tutto passi al più presto, nel mio piccolo cerco di fare la mia parte, ad esempio l’uscita del disco vuole essere un modo per stare vicino alle persone e per far capire che la vita continua».

Per concludere, a chi si rivolge oggi la tua musica e a chi ti piacerebbe arrivare?

«Si rivolge a tutti i ragazzi come me, semplici, terra terra, ma non solo direi, perché autoimporsi delle etichette? Penso che la mia musica possa rivolgersi davvero a tutti quanti, dal ragazzetto al genitore, un po’ a chiunque, perché nei testi cerco di non essere mai banale, in ogni canzone ci si può rispecchiare mio padre, mio fratello o anche qualsiasi sconosciuto».

© foto di Claudia De Nicolò

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.