A tu per tu con la giovane pianista e cantautrice, in uscita con il suo primo album “No more pain”
Arriva negli store a partire da venerdì 24 maggio “No more pain”, il progetto che segna l’esordio discografico di Giulia Malaspina, artista che si esibirà questa sera, domenica 26 maggio, al Blue Note di Milano, da molti considerato come il tempio della musica jazz. Sul palco con lei una talentuosa band composta dai musicisti: Luca Meneghello (chitarre), Maxx Furian (batteria), Roberta Brighi (basso) e Jossy Botte (sax e clarinetto), ospite speciale Jonathan Quash, cantante statunitense e direttore dello York Collage. Approfittando di questo positivo momento professionale, abbiamo raggiunto telefonicamente la giovane pianista, per scoprire il suo stato d’animo alla vigilia del suo importante debutto.
Ciao Giulia, partiamo dal tuo primo album “No more pain”, cosa racconta?
«E’ un concept album che parla della vita intesa come metafora del viaggio, ogni brano rappresenta una parte molto autobiografica della mia esistenza».
Fil rouge è proprio questo tema del viaggio, quali sono le tappe della tua vita che hai voluto raccontare nel dettaglio?
«Ho voluto racchiudere un po’ tutto, da quando ero bambina e sognavo in grande a quando da adolescente mi sono ritrovata a non sapere esattamente cosa volevo fare della mia vita, quale strada percorrere, il momento un po’ sbarazzino in cui decidi di fregartene delle aspettative che ripongono su di te gli altri. Si tratta comunque di un album positivo, anche le tracce più cupe hanno il loro lieto fine, il messaggio che ho voluto lanciare è quello di credere in se stessi, continuare a sognare e coltivare il fanciullino che è in noi».
A livello musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare?
«Mi sono formata negli Stati Uniti, ho studiato al Berklee College, un realtà che mi ha permesso di entrare in contatto con persone provenienti da ogni parte del mondo. Ho sperimentato culture diverse, un po’ come se fossi andata a scoprirle nei relativi Paesi, un’esperienza che mi ha completamente arricchito. In questo disco ho voluto inserire e mischiare tutte le sonorità che ho conosciuto e imparato ad amare, le contaminazioni per me sono fondamentali».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nella fase di composizione di una canzone?
«Quando scrivo una canzone, in realtà, prendo un foglio pentagrammato e ci disegno solo una chiave di violino, non inserisco il tempo e non faccio le battute, proprio perché desidero lasciarmi trasportare da ciò che mi viene dall’ispirazione e dal cuore. Questa è la parte che preferisco perché arriva spontaneamente, pur seguendo i criteri classici dell’armonizzazione, in maniera molto naturale e per niente calcolata».
Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?
«Da bimba ho studiato piano classico, mi piaceva suonare, ma niente di più. All’età di diciassette anni ho partecipato ad Umbria Jazz, sono stata colpita dall’improvvisazione, in particolare mi ha rapito il concerto di Diana Krall, sin dal primo brano mi sono detta: “questo è quello che voglio fare nella mia vita”. Ogni colpo di fulmine è di per sé irrazionale, in quel momento ho capito la direzione da prendere».
Ti senti rappresentata dall’attuale mercato e da ciò che si sente oggi in giro?
«Il mercato varia molto di Stato in Stato, complessivamente ti risponderei di no, ma non ho mai neanche preteso che accadesse, nel senso che il jazz è una musica di nicchia, che arriva a tante persone ma in un vasto lasso di tempo, è un genere artistico che non tramonterà mai».
Domenica ti esibirai sul palco del prestigioso Blue Note di Milano, quali sono le tue sensazioni della vigilia?
«Eh non vedo l’ora (sorride, ndr), dal punto di vista organizzativo mi sta portando via un sacco di energie, spero di potermi rilassare sul palco e godermi questo concerto. Sono stata al Blue Note un sacco di volte, ho assistito a tantissimi concerti, nell’ultimo periodo mi sono concentrata sulla lavorazione del disco, ma dalla prossima programmazione riprendo ad essere cliente almeno una volta al mese».
Dove vuoi arrivare con la tua musica?
«Mi piacerebbe esibirmi nei teatri, mi piace quel tipo di atmosfera e il pubblico attento e coinvolto. Adoro anche i Festival, proprio perché ambisco a ricreare un genere misto tra il jazz e la musica popolare».
Qual è la lezione più grande che senti di aver appreso dalla musica?
«Che non ci sono scorciatoie, lo studio e l’impegno sono fondamentali. L’obiettivo di ogni artista credo sia quello di rimanere nel tempo e non sparire, per cui le basi sono importanti, al di là della visibilità che riesce ad ottenere in un determinato momento. Il consiglio che mi sento di dare a chi comincia oggi un percorso artistico è quello di ascoltare tanto, apprendere e non fossilizzarsi sul passato, come tutti i generi musicali anche il jazz si è evoluto, bisogna comprendere ed accettare ogni genere di cambiamento».
Nico Donvito
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