A tu per tu con il direttore d’orchestra e co-autore del brano “La ragazza con il cuore di latta”
Dopo la precedente lunga chiacchierata realizzata lo scorso dicembre, ritroviamo con piacere Giulio Nenna in quel di Sanremo, con il fedele compagno di viaggio Andrea DB Debernardi, al quale lo legano i numerosi progetti della Fonjka Factory, interessante realtà indipendente che tutela e valorizza giovani talenti. A distanza di tre anni dal debutto, torna sul palco del Teatro Ariston per dirigere l’orchestra sempre al fianco con Irama, in gara con l’intensa “La ragazza con il cuore di latta“.
Ciao Giulio, è un piacere ritrovarti proprio qui a Sanremo, dove tutto è iniziato. Che sapore ha per te tornare sul “luogo del delitto”, tra i big, proprio con Irama?
«Ha il sapore di una piccola vittoria, perché questo giovane e talentuoso artista ha dimostrato di non essere una meteora di passaggio, al di là dei contenuti delle canzoni è riuscito a tirare fuori il proprio carattere, preservando questa sua grande passione. Sono felice e grato per essere al suo fianco sin dall’inizio di questo suo viaggio, in più quest’anno abbiamo presentato un brano ancora più maturo, che ha consolidato il lavoro di tutto il nostro team».
La tua e di Filippo è senz’altro una bella storia, vi lega un rapporto d’amicizia oltre che professionale, siete partiti insieme dal palco dell’Ariston nel 2016 e qui vi ritroviamo di nuovo insieme dopo tre anni di situazioni contrastanti. Non ti sembra un po’ una chiusura di un cerchio?
«Sai, in questo mestiere vedo tanti cerchi che si aprono e si chiudono in continuazione (sorride, ndr), sicuramente è un momento importante perché il percorso di Irama è stato molto particolare, come hai ricordato bene tu. Siamo passati da un Sanremo Giovani alla vittoria del Summer Festival, un momento un po’ meno fortunato e poi il rilancio con “Amici” di Maria De Filippi. Torniamo su questo palco portandoci sulle spalle l’enorme bagaglio e la ricchezza che abbiamo accumulato in questo percorso molto variegato, dimostrando spirito di adattamento ma anche una forte e matura identità».
Com’è nato il brano “La ragazza con il cuore di latta”?
«E’ nato la scorsa estate in Salento, dove con Filippo siamo soliti isolarci per cercare ispirazione. Il testo deriva da una storia vera, parla di una ragazza che abbiamo conosciuto e affronta una tematica difficile, sempre delicata da trattare. Un brano di grande responsabilità., la più grande vittoria per questo artista è stata quella di riuscire a reggere l’impatto e la delicatezza del tema, dimostrando di essere indubbiamente all’altezza della canzone proposta».
Quando avete capito che si trattava del brano giusto per tornare al Festival?
«Già nella fase embrionale ci siamo resi conto della validità del pezzo, infatti lo abbiamo tenuto fuori dal disco “Giovani”, proprio nell’eventualità di un possibile ritorno a Sanremo. Credo che il palco dell’Ariston sia il giusto luogo per mettere in risalto una canzone di questo valore, come sappiamo benissimo oggi la musica è fruita velocemente e per un argomento del genere era necessaria la giusta vetrina».
Me lo sono sempre chiesto: come si prepara un direttore d’orchestra di Sanremo?
«Principalmente in due modi, il primo con il mio Maestro Angelo Valori, con lui abbiamo fatto un grande lavoro sulla partitura perché la responsabilità del direttore è quella di far suonare bene l’orchestra. Dopodiché con il team della direzione artistica, avvalso della competenza di Andrea Debernardi, abbiamo curato ciò che esce alla fine dalla tv, cercando di riportare con la massima fedeltà l’idea che abbiamo sviluppato in studio, chiaramente caricandola con l’emozione e con l’emotività del live, oltre che del prestigioso palco. Suonare con l’orchestra di Sanremo è sempre un’emozione, l’accoglienza dei musicisti è stata incredibile e non è una cosa scontata».
Il Festival è un po’ come un microclima che, mai come quest’anno, rappresenta i gusti più variegati del pubblico. Come valuti il livello delle proposte di questa edizione?
«Molto valido, perché quest’anno abbiamo avuto finalmente uno spaccato di ciò che è realmente il mercato discografico in Italia. Sono particolarmente contento perché si è riusciti a sdoganare la complessità e la ricchezza della musica, grazie a proposte con contenuti e sonorità diverse, secondo me questo non può che far bene al pubblico, un messaggio culturale che spero apra nuovi orizzonti per tanti validi artisti».
Nelle tue parole citi spesso il tuo team di lavoro, quanto sono importanti i collaboratori per il risultato finale?
«Hanno un ruolo fondamentale, senza una squadra ben collaudata e affiatata alle spalle non si riuscirebbe a competere ad alti livelli. In una società così specializzata su vari fronti, sarebbe impossibile gestire da soli al meglio ogni singolo aspetto. Oggi un ragazzo di quattordici anni compra un pc, installa un sequencer e ha la possibilità di migliaia di strumenti per creare la propria musica, tutto ciò velocizza le fasi di composizione, per cui l’asticella si alza e senza ottimi compagni di viaggio diventa un’impresa impossibile. In un team ognuno cerca di dare il massimo e fare del proprio meglio, diventa quasi un processo naturale, una catena di montaggio, anche se all’inizio non è nemmeno così scontato capire quale ruolo sia più adatto alle tue inclinazioni».
Quando e come hai capito la strada da intraprendere e che consiglio daresti ai giovani che stanno leggendo queste tue parole?
«Guarda, non avrei mai pensato nella vita di fare l’arrangiatore o il produttore, suonavo la chitarra ed ero attratto dai suoni del mediterraneo, ascoltavo Al Di Meola e Paco De Lucia, il giorno in cui ho accettato che non sarei mai stato al loro livello mi si è aperta un’altra porta. Ai giovani consiglio sempre di riflettere su questo aspetto, perché la musica è una catena di montaggio fatta di diversi ruoli e, di conseguenza, di tante diverse opportunità».
Nico Donvito
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