giovedì 10 Ottobre 2024

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Giuseppe Anastasi: “Sento la necessità di tornare alla parte acustica della musica” – INTERVISTA

Il nome di Giuseppe Anastasi deve la sua popolarità al fruttuoso binomio artistico, instauratosi ufficialmente nel 2009, con Arisa e da lì ampliatosi a ben più vaste collaborazioni all’interno del panorama della canzone pop italiana. All’indomani della pubblicazione del suo primo singolo da cantautore ho avuto la possibilità di raggiungere telefonicamente quella che è una delle più raffinate e talentuose penne della nostra canzone che mi ha raccontato la sua esperienza artistica parlando di brani ma anche di Sicilia (di cui conserva uno spiccato accento e una tradizionale pacatezza d’espressione), Sanremo e didattica. Ecco cosa mi ha raccontato:

Giuseppe Anastasi - 2089Giuseppe, partiamo da “2089”, il tuo primo singolo come cantante uscito qualche settimana fa e che, in un certo senso, segna l’inizio di un viaggio. Che canzone è per te?

<<”2089” anticipa l’uscita di un album che uscirà a gennaio e che sarà composto da 11 brani inediti. Quello da autore a cantautore è un passaggio che, per me, è risultato spontaneo: avevo una forte esigenza comunicativa di dire alcune cose in modo diverso da come il grande pubblico è abituato a sentirle nelle mie canzoni che, finora, hanno sempre adottato un modo di scrittura “romantico”. Ho pensato che questa canzone fosse quella giusta per far conoscere questo mio lato cantautorale>>.

L’album, invece, viaggerà su questi temi sonori oppure proporrà anche delle cose diverse da questo primo singolo?

<<L’album sarà un disco “old style” nel senso che sarà interamente suonato, l’elettronica sarà appena accennata. In realtà è un album molto acustico che va a riprendere quella dimensione musicale che solitamente propongo nei live con la mia band. Sono le tematiche, soprattutto, che andranno a differenziarsi>>.

Tornando un po’ indietro nel tempo e a quello che, forse, è stato per te il punto di partenza: il CET di Mogol

<<Si, quello è stato assolutamente il mio punto di partenza soprattutto dal punto di vista formativo perché al CET, grazie al Maestro Mogol ho imparato tutto quello che so fare. Sono arrivato da allievo e ora continuo a rimanere legato al CET come docente: insegnare è la cosa che mi piace più di ogni altra, anche più di scrivere per certi versi perché avere il contatto con i ragazzi mi permette di imparare tantissimo>>.

Ecco, a tal proposito, che cosa credi che ti abbia insegnato il CET prima da allievo e ora da insegnante?

<<Da allievo mi ha insegnato che, quando si scrive una canzone, più si attinge dalla vita vera, quella vissuta, e più si risulta credibili: le canzoni hanno lo scopo di raccontare piccole storie di vita e quando c’è una profonda verità in quello che si scrive la gente lo percepisce dando luogo ad una piccola magia facendo proprio quel brano. Come insegnante, invece, ho imparato a mettermi in gioco continuamente restando pronto a ricevere qualcosa di nuovo continuamente: anche il semplice fare una critica ad una canzone di un allievo, oltre che essere una responsabilità, è un qualcosa che restituisce tanto>>.

Ricordo che proprio nel 2012 scrivesti un libro con Alfredo Rapetti, il figlio di Mogol, intitolato appunto “Scrivere una canzone”: come definiresti la scintilla da cui tutto ha origine, la cosiddetta “ispirazione”?

<<È l’unica cosa di una canzone, innanzitutto, che non si può insegnare perché ognuno vede vede la vita a modo proprio, ha una propria personale opinione e un modo di vedere l’amore e la società differente. Si può insegnare la tecnica ed è, fondamentalmente, ciò che facciamo al CET: io personalmente insegno metrica musicale, vale a dire la rima, l’assonanza, il suono delle parole. L’ispirazione è un terno al lotto, arriva dal cielo e quando arriva bisogna essere bravi a coglierla>>.

So che tuo padre è di Marsala mentre tuo padre di Palermo: c’è qualcosa che porti dentro di queste tue radici siciliane nel tuo scrivere?

<<Sono molto legato alla mia terra, la Sicilia, e anche per questo nell’album ci sarà proprio una canzone in siciliano. Io credo che nella mia scrittura ci sia la parte sanguigna della mia terra che per me, come per ogni migrante, è costantemente dentro di me, non la abbandono mai malgrado siano diversi anni che vivo lontano dalla Sicilia>>.

Il tuo nome è, per forza di cose, legato al Festival di Sanremo e, inevitabilmente, a quello di Arisa con la quale vanti diverse partecipazioni alla gara come autore da “Sincerità” (2009) fino all’ultima “Guardando il cielo” (2016). C’è una delle canzoni che hai proposto all’Ariston che ricordi con più affetto e commozzione?

Giuseppe Anastasi<<In particolare sono due le canzoni a cui sono più legato malgrado tutti i brani che ho scritto per Sanremo, inclusa “Il diario degli errori” portata in gara da Michele Bravi lo scorso anno, siano pezzi ai quali sono molto molto affezionato. Tra tutte, però, sono particolarmente a me care e sono “Sincerità” e “La notte”. “Sincerità” perché per me e per Arisa ha rappresentato l’esordio portandoci ad una vittoria inaspettata ed incredibile quando ancora io lavoravo in un negozio di animali a Roma e Arisa faceva l’estetista: è stata un’emozione indescrivibile vincere. “La notte”, invece, ha dato un valore diverso sia a lei come artista che a me come autore: entrambi volevamo staccarci, in un certo senso, da “Sincerità” per far vedere che c’era anche altro e quella canzone ha dato un’altra impronta alla carriera di entrambi>>.

C’è anche una differenza tecnica nella scrittura di due brani così diversi?

<<Lo studio c’è sempre dietro una canzone e, se dobbiamo entrare nel tecnico, entrambi i brani sono estremamente in rima, un qualcosa che a me piace essendo io un “de-andreiano” come gusto musicale. Dal punto di vista emotivo la grande differenza sta nel fatto che “La notte” è stata scritta in pochi minuti mentre mi trovavo in uno stato emotivo tale da poter scrivere di getto l’intera canzone: non è una cosa che capita spesso, anzi, ma quando accade nascono i brani che hanno più forza perché sono quelli più attaccati alla verità>>.

La vittoria al Festival vero e proprio arriva nel 2014 con “Controvento”, due anni dopo “La notte”. Quella vittoria ha rappresentato per te un punto di arrivo o una nuova partenza?

<<Per come sono solito affrontare la vita penso sempre a quello che devo fare, mai a quello che ho fatto. La vittoria con “Controvento” è stata splendida perché è stata una conferma del nostro lavoro però, tendenzialmente, non guardo mai al passato, convivo con il presente e penso sempre al futuro>>.

Ormai, tu e Arisa, ci avete abituato ad un binomio che al Festival si ripropone puntualmente in modo sempre nuovo e riuscito e che, per tradizione ormai, negli anni pari (escludendo l’esordio nel 2009) vi vede puntualmente protagonisti della gara: c’è, a tal proposito, una nuova esperienza sanremese nel 2018 per rispettare questa tradizione?

<<No, no quest’anno, mi sa, che la tradizione non sarà rispettata (ride). Non è escluso che ci sia, magari, la possibilità di essere presente con altri cantanti ma è ancora tutto in corso d’opera>>.

C’è un cantautore che ritieni ti abbia influenzato particolarmente nel corso della tua attività come paroliere e musicista?

<<Ce ne sono diversi ma tra tutti ci sono dei capisaldi come la coppia di Mogol-Battisti, Francesco De Gregori, Fabrizio De Andrè, Pino Daniele e Lucio Dalla. Quando andavo negli, ormai obsoleti, negozi di dischi alla lettera “D” trovato tutto quello che mi serviva>>.

Si parla sempre di più di riuscire a coniugare la tradizione cantautorale italiana, suggerita appunto da questi grandissimi nomi che fanno parte della nostra storia musicale, con la contemporaneità. Credo sia, forse, il mestiere più difficile di chi vuole scrivere canzoni: come pensi sia possibile coniugare queste due facce nel mondo della canzone?

<<La canzone segue l’evoluzione dell’umanità e della tecnologia, oggigiorno soprattutto. Prima di tutto bisogna appunto ricordarsi questo: la canzone è una forma di comunicazione per cui comunica esattamente come si suole farlo abitualmente. Quando negli anni ’80 iniziò a spopolare l’elettronica si avvertiva prepotentemente che la tecnologia fosse arrivata dentro le canzoni. Questo attuale è un periodo dove ci sono molti suoni digitali ma ho la sensazione che ci sia la necessità di ritornare alla vecchia parte acustica della musica: personalmente in “2089” cerco, appunto, le due cose attraverso un sound fresco e attuale e un testo cantautorale>>.

Da qualche settimana ti vediamo protagonista all’interno del programma “Amici di Maria de Filippi” che ha visto quest’anno l’introduzione degli autori all’interno del format per la prima volta. Che cosa ti ha spinto a partecipare a quest’esperienza?

<<La mia, come dicevamo prima, è una sorta di vocazione verso l’insegnamento perché avere a che fare con dei ragazzi che vogliono fare musica e che cercano qualcuno che li possa aiutare è, per me, fonte di grande stimolo. L’invito da parte di Maria e della trasmissione mette in evidenza che il programma ha voglia di crescere e di migliorarsi permettendo anche agli autori di metterci la faccia malgrado la mia categoria, spesso, tenda a stare (giustamente in un certo senso) dietro le quinte. Se i ragazzi vogliono fare questo mestiere nel 2017 non basta che sappiano cantare, devono conoscere tutte le componenti che stanno dietro il lavoro del cantante, e dunque gli autori, i produttori, gli editori, gli arrangiatori, i manager, i giornalisti…>>.

In questo contesto ti ritrovi affiancato da tanti colleghi con alcuni dei quali hai collaborato (Federica Abbate, ad esempio, ha cofirmato “Il diario degli errori”) o con cui non hai mai lavorato finora. Pensi che da questa esperienza possano nascere anche nuove collaborazioni?

<<Sono tutti colleghi che stimo moltissimo e che conosco personalmente da tempo malgrado con alcuni non ci sia ancora stata la possibilità di scrivere qualcosa insieme. Le collaborazioni, poi, possono nascere all’improvviso in qualsiasi occasione>>.

Da penna illustre del pop italiano individui qualche nuovo autore con il quale ti piacerebbe collaborare in futuro o che ammiri particolarmente per il suo modo di scrivere?

<<Dell’ultimo periodo sto ascoltando in maniera quasi compulsiva il nuovo album di Caparezza, “Prisoner 709”, che trovo bellissimo a livello di testi. Apprezzo molto anche Brunori Sas>>.

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Ilario Luisetto

Creatore e direttore di "Recensiamo Musica" dal 2012. Sanremo ed il pop (esclusivamente ed orgogliosamente italiano) sono casa mia. Mia Martini è nel mio cuore sopra ogni altra/o ma sono alla costante ricerca di nuove grandi voci. Nostalgico e sognatore amo tutto quello che nella musica è vero. Meno quello che è costruito anche se perfetto. Meglio essere che apparire.