Come le canzoni si raccontano nei testi
Che un’emozione non si decida a tavolino è un concetto molto chiaro, anche quando si tratta di “Un’emozione da poco” come canta Anna Oxa. La risposta fisiologica alle emozioni è la necessità di buttarle fuori per cercare un giusta distanza da esse. Ci aiutano Elio e le Storie Tese a puntualizzare l’argomento di questo articolo: “ci sono i capperi, il muco, il bianco della lingua, il catarro, il sudore, lo sporco in Mezzo alle dita dei piedi Il tartaro, il pus, le cacche delle ciglia, la formaggia, il cerume, il mestruo, la pipì e la pupù”. Gli escreti corporei, usati in senso figurato, assumono, infatti, un significato simbolico di forte impatto mentre ci raccontano organicamente di un sentimento.
Se Vasco Rossi ripensa all’amore di “quando tu eri qui Era difficile, ricordo bene Ma era fantastico provarci insieme”, ha un trasporto tale da scrivere “sì, stupendo Mi viene il vomito È più forte di me Non lo so Se sto qui O se ritorno”. Vomitare vuol dire rigettare ciò che ci ripugna dentro, far uscire la nausea di un sentimento viscerale e dirompente che ci sconquassa e, anche se stupendo, non è sostenibile o diventa, addirittura, inaccettabile.
Come anche molti aspetti della realtà politica e sociale sono generatori di una rabbia che Nonostanteclizia chiama nausea; “un peso invadente è la nausea che dilania un disgusto persistente, è la nausea che mitraglia E spara un colpo nella gola, la nausea è una pistola la nausea è una pistola, è carica E spara un colpo nella gola, la nausea è una pistola”. Ugualmente Fabri Fibra chiede attenzione con “tutti quanti seguitemi” perché “ho voglia di sfogarmi, capitemi Non mi passa il mal di stomaco Certi fatti mi danno al vo-vo-vomito”. Fatti che parlano di solitudine giovanile, di ruoli sociali stigmatizzati e di noncuranza verso l’altro che magari ci passa semplicemente accanto. Quanto male fa la delusione di questa presa di coscienza, delle speranze disattese o di una fatica non ripagata?
Ritroviamo nel Sudore di Duplici tutto questo travaglio interiore, nelle parole di un testo che non passa inosservato per il suo rap poetico, in cui leggiamo “un’altra goccia di sudore che cade in un mare sfiora le mie labbra ed è il sapore di lacrime amare E dopo bacia il collo lentamente come lei che mi ascolta e dice che verrebbe ovunque andrei Ma è solo un attimo, che già scivola sul cuore dove battono più forte la passione ed il rancore (…) E’ un’altra goccia di sudore che cade brucia negli occhi e non sai quanto fa male Brucia piu forte quando non ti ho qui accanto tutto l’amore chiuso in lacrime che non piango (…) E lo sa Dio quanto ho sudato, sangue che ho sputato se davvero mi sono mai sentito umiliato Ed ho imparato a tenervi dentro pure se distante conservando il mio amore dentro le lacrime non piante, One love“.
Anche E-green apre a “una storia di sudore e di errori” che lo hanno portato a ‘stare fuori’ da un sistema discografico non credibile, insano, scarsamente qualitativo e a indagare nella distanza disillusa tra la sua vocazione artistica e quel sistema che la vorrebbe prostituire. Sente tutto in modo così chiaro da decidere di passare all’azione, “spengo le luci crollano le convinzioni” e “aspetto il sole, ho perso il cuore”, perché “so bene che il mio debito è immenso, lacrime spese Cercando un senso, cose preziose”.
A questo punto, potremmo correre il rischio di pensare all’escreto come nobile mezzo letterario per lo scandaglio interiore e basta, quando esiste, invece, il popolarissimo caso di Mina impegnata ironicamente a chiedersi “ma perché, come mai, ma perché In gelateria non ci entro mai, eh Mmm che cioccolato Dammi il cucchiaino Fai assaggiare un pochettino (…) Ma che bontà, ma che bontà Ma che cos’è questa robina qua (…) Ma che gustino questa roba qua Cioccolato svizzero? No? Cacao della Bolivia? No? Ma che cosa sarà mai questa robina qua Cacca?!”.
Sulla scia della risata, e negli insoliti panni di cantante, anche Pippo Franco col suo storico “mi scappa la pipì, papà Non ne posso proprio più Io la faccio qui” ; a ben vedere, non si tratta, soltanto, di una canzone per bambini, ma c’è il racconto dell’impellenza di un bisogno fisiologico e, in senso lato, l’urgenza di non poter aspettare che le cose passino da sole, quando è necessario liberarsi di ciò che per natura non ci serve.
Per dirla con Francesco Baccini, “sotto questo sole è bello pedalare, sì Ma c’è da sudare (…) rossi col fiatone e Neanche da bere”. In altre parole, bisogna faticare sempre e comunque, per essere, stare e amare quest’esperienza così misteriosa che è la vita, a cui potremmo chiedere, al massimo, come Elio e le Storie Tese, “voglio un silos, sì lo voglio un silos per riporvi i frutti del mio corpo; voglio un silos, sì lo voglio un silos, sì lo voglio per l’umanità”; per contenere le tracce di noi che siamo impastati anche di quello che, in molte occasioni, schifiamo.
Dovremmo, perciò, cominciare a essere realmente consapevoli di due aspetti della vita: “dai diamanti non nasce niente Dal letame nascono i fior “, come insegna Fabrizio De André; chiunque e tutto ciò che ci cresce, o che ci fa sentire accolti come figli, finisce col prendere le distanze dalle idealizzazioni, compresi i luoghi che viviamo. Francesco Guccini, in tal senso, fa un tratteggio magistrale della sua Bologna intrisa di escreti e di contraddizioni: “Bologna è una strana signora, volgare matrona Bologna bambina per bene, Bologna “busona” Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto Rimorso per quel che m’hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di passato”.
Francesco Penta
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