martedì 3 Dicembre 2024

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Hale: “Camilla è il mio canto contro il femminicidio” – INTERVISTA

A tu per tu con il giovanissimo cantautore salernitano, in occasione del lancio del suo nuovo toccante singolo

Spesso gridare viene considerata la forma di espressione più forte per denunciare un fenomeno o dimostrare il proprio disdegno. Pasquale Battista, in arte Hale, ha scelto di utilizzare il canto per rappresentare attraverso l’arte e la bellezza uno degli orrori della nostra attuale società: il femminicidio. “Camilla” è il brano che segna il suo ritorno discografico, a pochi mesi di distanza dal lancio de “Il giardino degli inconcludenti”, l’ispirato album d’esordio con cui si è affacciato con determinazione e consapevolezza sul mercato italiano. Già in occasione della nostra precedente intervista, lo abbiamo descritto come un’interessante promessa della nuova scena musicale. Con questa canzone conferma di meritare il giusto spazio, occasione che potrebbe essere rappresentata  da “Amici”, talent show che lo ha visto protagonista nel corso dei casting della diciottesima edizione.

Ciao Pasquale, bentrovato su RecensiamoMusica. Partiamo dal tuo nuovo singolo “Camilla”, com’è nato questo pezzo?

«L’ho scritto dopo aver visto in tv un episodio di cronaca nera, nella fattispecie della storia di Pamela Mastropietro, ma questa canzone è dedicata a tutte le donne che ogni giorno sono costrette a fare i conti con la violenza. “Camilla” è un nome di fantasia, con cui ho voluto rappresentare le vittime di questo agghiacciante fenomeno e raccontare una triste realtà che, purtroppo, affligge i tempi moderni».

Un testo che descrive uno spaccato della nostra società che fa molto riflettere, in cui una vittima, paradossalmente, finisce per essere considerata colpevole dal pregiudizio della gente. Scrivendo queste parole, sei riuscito a darti delle risposte?

«Ho scritto questo brano per cercare di sensibilizzare, o per lo meno far riflettere su un tema così importante, anche attraverso la musica. Non ho trovato risposte,  perché credo che non esistano, il mondo ha le sue ombre ed è complicato cercare cosa si nasconde dietro simili meccanismi che scattano nella testa di un essere umano. Credo che il pregiudizio sia una costante nella società di oggi, purtroppo condiziona perennemente le nostre vite. Spesso la gente sputa sentenze in maniera gratuita, ognuno   sente il diritto di esprimere la propria opinione, la libertà di parola viene confusa con la pubblica offesa. Mi è capitato di leggere sui social delle frasi terrificanti da parte degli utenti, riportate tra i commenti dei vari articoli di cronaca, parole di una brutalità immane».

Il femminicidio è diventato una vera e propria piaga sociale, solo nel 2018 in Italia è stata uccisa per mano dell’uomo una donna ogni tre giorni. Tu hai affrontato con delicatezza questa problematica, non deve essere stato facile perché parlare di certi argomenti è spesso un’arma a doppio taglio. Hai sentito un po’ il peso e la responsabilità di un tema così importante?

«Assolutamente sì, il mio intento era quello di cercare di raccontare le storie di queste ragazze, nella maniera più delicata possibile e con la purezza tipica di un bambino. Ho scritto questo pezzo dopo aver visto il film biografico di Fabrizio De Andrè, ispirato dalla scena in cui lui compose “La canzone di Marinella” per cercare di ricordare la donna trovata lungo il fiume e restituirle un’altra vita. Ho avvertito anch’io lo stesso desiderio, anche per dare una speranza alle persone che soffrono, seguendo l’esempio di un grande del passato perché, come diceva il filosofo francese Bernardo di Chartres, non siamo altro che nani sulle spalle di giganti». 

A livello musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare per mettere in risalto un testo così delicato e profondo? 

«“Camilla” è un brano che scavalca i generi, non ho voluto attribuirgli dei confini stilistici, anche perché si discosta abbastanza dalla mia prima produzione discografica, rispetto al mio album d’esordio “Il giardino degli inconcludenti” contiene sonorità molto più sinfoniche ed orchestrali, per poi tingersi di sfumature rock nella parte in cui descrivo l’episodio di violenza. Questa canzone si evolve dinamicamente con il racconto e lo scorrere della storia, la musica si adatta alla narrazione e l’arrangiamento non è altro che un vestito cucito su misura per il testo».

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip diretto da Simone Barbetti?

«Abbiamo pensato di veicolare le immagini attraverso una coreografia di danza per raccontare l’episodio di violenza senza dargli libero sfogo, in modo poetico e non esplicito, cercando di trasmettere delicatezza attraverso una forma d’arte così pura. L’obiettivo è stato quello di evocare un episodio crudo senza rappresentarlo, per non rischiare di invadere la sensibilità delle persone, fino ad arrivare al finale in cui la protagonista, interpretata dalla bravissima Agnese Ruggeri, diventa una statua ed è proprio questo l’acme del videoclip, perché quella scultura rappresenta la strumentalizzazione della stampa e delle persone, con un writer che imbratta la sua figura, descrivendo quella che è un po’ la società contemporanea».

A parte il discorso musicale, cosa aggiunge “Camilla” rispetto alle tracce presenti nel tuo disco d’esordio “Il giardino degli inconcludenti”? Quali innovazioni avrà il tuo prossimo disco?

«Sicuramente la tematica. “Camilla” è il singolo apripista del mio secondo album, a cui sto lavorando, lo considero un po’ uno spartiacque tra i due dischi. Ho già scelto i pezzi da inserire, sarà un progetto vario, in aggiunta ai temi dell’amore ho cercato di toccare argomenti sulla vita in generale, dalla rivalsa alla lotta per inseguire il proprio sogno. Dal punto di vista musicale, invece, si riallaccerà ad un discorso di continuità, proseguirò la strada tracciata da “Il giardino degli inconcludenti”, per dare un seguito alla mia identità artistica».

E’ molto importante quello che dici, ma è ancora più interessante sottolineare che sei nato nel ’95, hai ventitré anni, possiamo considerati di fatto un cantautore del nuovo millennio, perché appartieni a questa nuova generazione musicale. Onestamente, ascoltando i tuoi discorsi e le tue canzoni, sembri provenire da un’altra epoca, come sei riuscito a “sopravvivere” all’avvento del web e della musica usa e getta?

«La prendo come una cosa positiva (sorride, ndr), in effetti il mio retaggio musicale appartiene al cantautorato, i miei ascolti sono stati influenzati dalla mia famiglia che mi ha trasmesso questa grande passione. Fin da bambino, la domenica mattina vengo svegliato dai dischi di Claudio Baglioni e Lucio Dalla, mi sento quasi in dovere nel cercare di portare avanti la loro tradizione, anche se ormai in controtendenza con i tempi. Per quanto riguarda il web, credo che internet sia un bene per chi sa utilizzarlo a proprio vantaggio, un archivio di cose infinite dal quale ho dovuto attingere per scoprire parte della musica del passato. Il problema del giorno d’oggi è la mancanza di curiosità, non c’è la voglia di andare oltre a ciò che ci viene offerto dai media, di scoprire cose nuove. A livello di contenuti siamo invasi dal nulla e, fondamentalmente, ci stiamo abituando e arrendendo alle scelte che altri fanno al posto nostro». 

https://www.youtube.com/watch?v=aibHy_St1GQ

Continui sulla strada del pop d’autore, nonostante nella nostra precedente chiacchierata abbiamo parlato di quanto questo genere sia in sofferenza. Ti faccio una domanda provocatoria, se ti dicessi: sono un produttore discografico, ecco un contratto per tre album, scegli tu la cifra, però me ne devi fare uno trap, uno indie e uno reggaeton. Cosa mi rispondi?

«Purtroppo non posso snaturare quello che sono, risulterei finto, non rappresenta il mio background, non mi sono cibato di questo genere di musica. Per me risulterebbe impossibile, per cui rifiuto l’offerta e vado avanti (ride, ndr), ringrazio per la considerazione ma non posso andare contronatura, è la sincerità che mi spinge a dire cose del genere e che, probabilmente, mi porterà tante belle porte chiuse in faccia. Credo nelle contaminazioni, questo sì, ma non potrei vendermi ad un genere solo perché va di moda. Come sonorità potrei pure avvicinarmi alla trap, ma non certo dal punto di vista delle tematiche, perché non condivido i messaggi che lanciano nelle canzoni, non risulterei credibile. Vale la pena rinunciare a se stessi per vendere un po’ di dischi? Secondo me no, ho deciso di intraprendere questa strada per far star bene gli altri, perché considero questa forma d’espressione come un porto sicuro in cui attraccare quando si ha bisogno di un po’ di conforto, tante volte la musica è stata per me una specie di rifugio».

A qualche compromesso ogni tanto si scende, personalmente non ho seguito le primissime fasi della nuova edizione di “Amici”, ma so che hai preso parte alle selezioni. Com’è andata esattamente?

«Ho partecipato ai casting lo scorso settembre, ho superato i vari step portando tre mie canzoni, tra cui “La più bella di tutte”, “Emma Watson” e “Camilla”, sono arrivato al pomeridiano dove ho cantato in una corale “Perfect” di Ed Sheeran, il mio nome non era nella busta e sono tornato a casa. Ad oggi sono un possibile sfidante di gennaio, non so ancora se verrò chiamato o meno, le mia speranza è, ovviamente, quella di avere quest’opportunità per cercare di portare il mio messaggio attraverso la mia musica. Il fine è sempre quello di arrivare a più persone possibili, considero “Amici” un percorso formativo anche dal punto di vista umano, perché ti mette a confronto con altri ragazzi che hanno scelto di percorrere la tua stessa strada». 

https://www.youtube.com/watch?v=ym2PfqJRzoo

Se dovessi scegliere un’epoca del passato, in quale decennio ti piacerebbe rinascere perché credi rispecchi al meglio il tuo modo di intendere la musica?

«Negli anni ’70, assolutamente, il mio habitat ideale per quanto riguarda il tipo di approccio alla musica, poi ovvio che le sonorità devono in qualche modo essere contestualizzate all’epoca in cui viviamo. Credo in quel tipo di spirito, anche perché per Claudio Baglioni e Renato Zero gli esordi non sono stati facili, ma le difficoltà ti aiutano a capire fino a quale punto sei disposto a spingerti. Oggi è tutto più facile, chiunque può realizzare un disco, mentre prima l’incisione di album rappresentava il coronamento di un sogno, c’era molta più selezione. Poi, ovvio, ci sono eccezioni straordinarie come l’esempio di Ultimo che, meritatamente, sta ottenendo un successo incredibile».

Qual è la lezione più grande che hai appreso da questi anni di sacrifici?

«Che dal letame prima o dopo un bocciolo affiora, come cantava Renato Zero riprendendo un concetto di Fabrizio De Andrè, è dalle esperienze negative e dalla sofferenza che nascono i fiori più belli e la terra ti restituisce ciò che hai seminato. Fare musica non è un percorso facile, tante volte ho avvertito la sensazione di voler mollare, le porte in faccia fanno male più allo spirito che al corpo, ma l’impegno e la determinazione sono fondamentali. Se ci metti tutto te stesso, con costanza e sudore, sono convinto che la musica ti restituirà ogni tuo singolo sacrificio… con gli interessi».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.