venerdì, Aprile 19, 2024

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I Maneskin puntano al classicone con “The loneliest” – RECENSIONE

Recensione del nuovo singolo della band di Damiano David

È il singolo che, su Spotify, ha segnato il miglior debutto globale tra tutti quelli pubblicati durante la scorsa settimana, entrando subito nella classifica di ben 28 paesi. Stiamo ovviamente parlando di “The loneliest“, nuovo brano dei Maneskin che, da una parte, conferma lo status che hanno raggiunto Damiano e compagni anche, e soprattutto, nel mondo e, dall’altra, li allontana però sempre più dal loro Paese di origine.

Sonorità che strizzano l’occhio all’America |

Diciamolo subito, “The loneliest” è un pezzo che non riuscirà a raggiungere la vetta delle radio italiane. Non ce l’hanno fatta le precedenti proposte, non ce la farà a maggior ragione questa. Perchè qui i Maneskin strizzano palesemente l’occhio all’America, mettendo da parte sia l’impetuosità di “Teatro d’ira – Vol. I” che le parentesi più catchy di “Mammamia” e “Supermodel“, e optando per un rock più maturo e classico che ha chiari modelli.

Lo sguardo è infatti rivolto a quelle power-ballad composte tra fine anni ’90 e inizi 2000 da band come Aerosmith, Green Day, Bon Jovi, Goo Goo Dolls. Un mondo che tanta fortuna ha avuto anche qui in Italia, ma che oggi risulta quanto mai lontano da ciò che dicono le nostre classifiche. La scelta riflette quindi la volontà di voler accelerare la loro crescita all’estero, puntando su una precisa identità e percorrendo una strada che vuole cavalcare ciò che è rimasto del rock.

Una strada che li mostra in continua crescita e, in questo senso, “The loneliest” è una limpida fotografia di maturità. Lo è in un arrangiamento che mette in luce una grande padronanza dello strumento, muovendosi tra una melodia garbata e soave sorretta dalla sola chitarra elettrica e un crescendo scandito dalla batteria che sostiene il brano senza risultare mai invasiva, fino all’assolo finale di Thomas Raggi in uno special da apoteosi. Lo è nell’interpretazione di Damiano che mette da parte gli eccessi degli esordi riuscendo a muoversi con efficacia tra la delicatezza delle strofe e la ruvidità dei ritornelli, mostrando quindi un evidente passo avanti dal punto di vista tecnico.

Testo cupo ma al tempo stesso dolcissimo |

Ed è anche il testo a rivelare un considerevole percorso di maturità, ponendosi come il più personale, intimo e riflessivo scritto finora. Con toni cupi, amari e tenebrosi che riescono però ad essere al tempo stesso dolcissimi. L’idea nasce da un pensiero oscuro di Damiano (“Se un giorno morissi, cosa vorrei dire e cosa vorrei lasciare alle persone che amo?“) e la canzone si pone quindi come un testamento. Qualcosa di sicuramente atipico per dei ragazzi poco più che ventenni, ma che forse è il passo che mancava per farsi vedere con occhi diversi da chi si è fermato a giudicarli in superficie.

Perchè “The loneliest” li mostra ancora più maturi di quello che richiederebbe la loro età. La figura della morte non è descritta con paura, ma con la preoccupazione di poter lasciare da sole le persone più care: “Non essere triste quando me ne andrò“. Un tormento che viaggia a piè pari con l’obiettivo di costruire da subito qualcosa che possa dar loro un sollievo: “Mi dispiace ma devo andare, se mai ti mancherò dai un altro giro a questa canzone“. Un brano che ha quindi in sè la negatività dell’addio, ma che riesce comunque a trasmettere un messaggio di grande sensibilità.

In conclusione |

I puristi del rock definiscono i Maneskin come delle semplici copie dei nomi che hanno reso grande il genere. E questa “The loneliest“, in effetti, non li mostra come degli innovatori ma come dei bravi, bravissimi, esecutori che sono riusciti a riprodurre linee, stili e suoni già ben codificati. Inventarsi qualcosa nel 2022, cioè quando ormai è già stato fatto quasi tutto, è però molto più difficile che farlo negli anni ’70, ’80 e ’90.

Loro non inventano nulla, è vero, ma hanno il merito di dimostrarci che, in un mercato che vorrebbe solo canzoni omologate e composte con computer e campionatori, anche una power-ballad ben scritta, ben suonata e ben interpretata può diventare un classico internazionale. Ed è il destino di questo brano.

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Nick Tara

Classe '92, ascoltatore atipico nel 2022 e boomer precoce per scelta: mi nutro di tradizione e non digerisco molte nuove tendenze, compro ancora i cd e non ho Spotify. Definito da Elettra Lamborghini "critico della sagra della salsiccia", il sogno della scrittura l'ho abbandonato per anni in un cassetto riaperto grazie a Kekko dei Modà, prima ascoltando un suo discorso, poi con la sincera stima che mi ha dimostrato.
Nick Tara
Nick Tara
Classe '92, ascoltatore atipico nel 2022 e boomer precoce per scelta: mi nutro di tradizione e non digerisco molte nuove tendenze, compro ancora i cd e non ho Spotify. Definito da Elettra Lamborghini "critico della sagra della salsiccia", il sogno della scrittura l'ho abbandonato per anni in un cassetto riaperto grazie a Kekko dei Modà, prima ascoltando un suo discorso, poi con la sincera stima che mi ha dimostrato.