Critiche e recriminazioni per una par condicio difficile da rispettare
La promozione è una tappa cruciale nel processo di genesi e distribuzione della propria musica, ed è trasversale a tutti i generi esistenti sul pianeta. Il grande affollamento attuale di artisti ha portato la proposta musicale a crescere vertiginosamente, aumentando quindi la possibilità di scelta da parte dell’ascoltatore, sempre più libero e incondizionato.
Apparire, da sempre ma soprattutto oggigiorno, è fondamentale, in quanto permette di fare un passo avanti in una riga infinita. Rende visibili, contraddistinti e caratteristici, insomma disallinea rispetto alla massa. Al contrario di anni fa, adesso la promozione di un lavoro musicale presenta una quantità di vie molto più ampia: ai classici media come tv e radio si sono aggiunti Youtube, i social network, i podcast, le piattaforme di streaming e mille altri mezzi di comunicazione.
Alcune sfere musicali (come il pop, ad esempio) rimangono molto affezionati a vetrine old-style come passaggi radiofonici o apparizioni televisive: strade che invece sono molto meno inclini ad altri generi, come il rap che, forte della sua popolarità tra i giovani, mette le fondamenta della sua distribuzione su Instagram e Tik Tok.
L’appeal in TV dei rapper |
Recente e significativo il caso Tim Music Awards, l’evento musicale “celebrativo” che la RAI trasmette in diretta dall’Arena di Verona sotto forma di due serate ricche di artisti che vantano certificazioni di vendita (qui i dettagli). Fra i mille cantanti amatissimi dal pubblico e destinatari di scroscianti applausi ecco Rhove, Paky e Guè, artisti malaccolti nonostante gli effettivi numeri che li hanno portati sul palco. Tantissime le critiche riguardanti le scarse capacità live, linguaggi controversi e outfit fuori luogo. Insomma, a detta del pubblico si tratta di un vero e proprio autogol della direzione artistica della Rai, tempestata di commenti negativi.
Effettivamente, le logiche televisive non dovrebbero condurre un autore a selezionare rapper di questa reputazione in un programma popolare e famigliare, seguito da un pubblico di una certa età (opposta a quella degli ascoltatori hip hop) e desideroso di un’altra musica. Tuttavia, il criterio numerico con cui vengono chiamati gli ospiti dovrebbe ammettere almeno una porzione dedicata ai vertici del rap, che per mezzo dello streaming collezionano certificazioni esattamente allo stesso modo di artisti come Alessandra Amoroso o Gianni Morandi. Un’esaltazione dell’industria discografica come i Music Awards non può prescindere dal rap, e ammette perciò una par condicio non trascurabile.
La lotta tra radio e rap |
Secondo molti pionieri del genere, il rap non è mai stato un genere la cui popolarità è stata rappresentata adeguatamente sui media. Radio e TV “colpevoli” di uno snob che sa di boicottaggio, e cause di una polarizzazione dell’opinione sul rap, demonizzato da chi lo ascolta per le prime volte e invece celebrato da chi lo ascolta frequentemente.
Le cause di questa poca considerazione sono ovviamente legate al linguaggio esplicito dei rapper, che le radio e ancor di più i programmi televisivi rigettano per conservare un’immagine pulita e family friendly. In “Squallor“, Fabri Fibra canta: “Queste radio mi hanno un po’ deluso. Dicono bravo, divago sei escluso. E’ lo squallor di cui ti parlo“. Non a caso, l’esplosione del rap e della trap è giunta nel momento in cui Spotify, piattaforma libera e aperta, è divenuta il principale canale di fruizione musicale.
Anche qui la questione è spinosa, tra una nicchia che vuole esposizione e un pubblico che, una volta esposta, rifiuta la nicchia. Chi ha ragione? Vige la legge di domanda e offerta o è giusto rappresentare tutti?
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