Una canzone, un libro: insieme
Ho letto Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen per la prima volta a quindici anni e ci ho visto una bella storia d’amore. L’ho riletto a diciotto e ci ho visto una protagonista fiera e ferma nelle sue convinzioni, un modello da imitare. L’ho riletto nuovamente a vent’anni e non ho più visto né la storia d’amore né la protagonista. O meglio, questi aspetti erano sempre lì, ma la mia attenzione è stata catturata da altro.
L’elemento che ho più percepito sfogliando le pagine del libro è la descrizione della società inglese di inizio Ottocento che, come ovvio, ha regole ben diverse dalla società attuale, regole che investono sia le protagoniste fiere e risolute, sia le belle storie d’amore. Ho letto di un nucleo famigliare in difficoltà economiche, delle convenzioni che prevedono che il padre decida del futuro delle proprie figlie, ho visto una madre cercare caparbiamente un marito per la sua prole e ho visto la fuga di una ragazza insieme a un generale essere “riparata” dal matrimonio. Ho visto tutto questo, ma ho visto anche personaggi che nella loro piccolezza cercano di uscire dai binari. Non di tanto, solo di qualche centimetro, solo per poter respirare. E allora il capofamiglia non è il solito “padre padrone”, la vita delle sue cinque figlie non viene trascorsa tra le quattro pareti della casa e alla protagonista è concesso dire “no”.
Elizabeth Bennet non è la più bella tra le cinque figlie, non è la più amata dalla madre, non è la più aperta nello stringere amicizie. Ma è intelligente, brillante, sveglia e questo le procura tutte le simpatie del padre e anche le mie. Quello che la differenzia dalle sue sorelle è l’azione. Elizabeth agisce, anche andando controcorrente. Ma soprattutto Elizabeth parla. E si sente libera di dire NO.
Dice NO all’insulso cugino che la chiede in moglie. Elizabeth rifiuta andando contro le volontà della madre che la vorrebbe accasata e lo fa perché non può sopportare l’idea di vivere con un uomo mediocre in tutto e passare la sua vita nella noia e nello sconforto.
Ma Elizabeth dice NO un’altra volta, quella più importante. Dice NO alla prima dichiarazione d’amore della sua controparte maschile, il signor Darcy. Quest’ultimo è intelligente, colto e ricchissimo, ma anche serio, scorbutico e orgoglioso. E, ancora peggio, Elizabeth, ingannata anche dalle false accuse di un acerrimo nemico dell’uomo, è convinta sia lui la causa del dolore della sorella Jane, rifiutata da un giovane sotto consiglio di Darcy. Ecco le parole della donna, straordinarie se si ricorda che vengono pronunciate a inizio Ottocento: “[…] se io riuscissi a provare gratitudine, adesso la ringrazierei. Ma non posso. Non ho mai aspirato alla sua stima e lei di sicuro me l’ha concessa molto a malincuore. […] Dopo questa spiegazione, gli stessi sentimenti che per molto tempo le hanno impedito, come ha detto, di riconoscere il suo affetto per me riusciranno senz’altro a farglielo superare”.
È quindi la parola NO che accompagna la figura della protagonista per tutta la durata del romanzo, salvo poi un SI nel finale per rendere possibile il lieto fine, quando si scopre che il mostro è in realtà un uomo buono e la vittima si mostra per il mostro che è in realtà. Mi sono resa conto, nel corso del tempo, che ciò che rende questo libro così speciale è proprio l’attribuzione della parola NO ad una donna nata in un tempo in cui ancora non può votare, in cui deve sposarsi per denaro, in cui non può guadagnarsi da vivere con le proprie forze. A noi forse questa libertà sembra cosa da poco (ma ancora oggi non lo è sempre), ma per Jane Austen che pubblica questo romanzo nel 1813 non lo è affatto.
Ancora nel 1988, Fiorella Mannoia in Quello che le donne non dicono cantava la donna come figura angelica, “dolcemente complicata”, “emozionata e delicata”, in attesa di ricevere lettere d’amore. È una donna che, in questa splendida canzone, è caratterizzata dal SI.
“Ma non saremo stanche
Neanche quando
Ti diremo ancora un altro sì”.
Ma c’è anche l’altro lato della medaglia, il lato delle molte Elizabeth Bennet che non si stancano di dire SI semplicemente perché lo dicono molto meno spesso di quanto dicono NO.
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