A tu per tu con la giovane promessa dell’hip hop, reduce dalla partecipazione al talent show “Amici”
Si intitola “Teenager“ il primo album di inediti di Fabio Migliano, in arte Jefeo, giovane artista classe 2000 che abbiamo avuto modo di conoscere nel corso della diciottesima edizione di “Amici” di Maria De Filippi. Reduce dall’esperienza del talent show e dal lungo instore tour, che lo ha visto impegnato in venti date in giro per l’Italia, abbiamo incontrato il rapper per le strade del suo quartiere, nella preferita sud-ovest di Milano, per scoprire il suo stato d’animo in un momento per lui così importante,
Ciao Fabio, partiamo dal quartier Tessera di Cesano Boscone, nelle tue canzoni ne parli spesso, quanto sono importanti per te le radici?
«Rappresentano casa mia, il posto dove sono cresciuto, ci ho lasciato un pezzo di cuore. Ricordare sempre da dove si viene è fondamentale, perché ti dà la spinta per andare avanti. La periferia ha tutto un altro tipo di magia, rispetto a chi abita al centro di una città si respira un’aria completamente diversa, il vissuto che può avere un ragazzino che cresce nell’hinterland sarà sicuramente differente, nulla togliere a chi vive altrove, ma le cose le affronti diversamente per tutta una serie di ragioni».
“Teenager” è il titolo del tuo album d’esordio, uscito lo scorso 10 maggio. Otto tracce, cosa raccontano?
«Come ti dicevo prima, bene o male resto coerente a quanto detto sul quartiere, ho cercato di racchiudere in questo disco tutta quanta la mia esperienza di vita, le emozioni che può vivere un ragazzo di diciotto anni. Infatti “Teenager”, come dice il titolo, rispecchia quello che può vivere un adolescente, raccontato dalla mia prospettiva».
Quello che ho trovato interessante del tuo stile di scrittura è la verità che metti in quello che dici, sempre più spesso si sentono in giro cose poco credibili, come se ci fosse una sorta di real rap e fake rap. Tu cosa ne pensi a riguardo?
«E’ molto probabile che sia così. Tralasciando il discorso rap o di genere, secondo me, quello che definisce la carriera di un artista è la verità, l’aspetto che più ti fa venire i brividi. Un cantante può essere sia fake che real allo stesso tempo, ma prima o poi questa cosa verrà fuori, mentre se una persona rimane vera lo senti. Ad esempio, nelle cose che dice Marracash ci trovo tanta onestà, per cui difficilmente sbaglia un pezzo».
A livello musicale, invece, quali sonorità hai voluto abbracciare?
«Son partito con il rap per andarmi a spostare sempre di più, ho respirato tante influenze musicali che mi hanno fatto capire quella che era la strada da prendere. Sicuramente gli ascolti internazionali, in particolare quelli americani, mi hanno ispirato e influenzato tantissimo».
Per chi non conosce il genere, la parola “trap” può sembrare una parolaccia oppure il soprannome di un allenatore di calcio. Potresti spiegare alle nonne e ai nonni in ascolto di cosa si tratta?
«Guarda, la trap è un sottogenere del rap, quindi cambia veramente poco, se non per il contenuto molto più esplicito, perché parla di argomenti un attimo più crudi. Sostanzialmente resta una costola del rap, sinceramente cambia poco».
Raccontami un po’ di “Amici”, cosa ti ha lasciato questa esperienza?
«”Amici” è stato un percorso fantastico, calcola che quando sono entrato nella scuola non sapevo veramente nulla di tecnica musicale, mi riferisco al riscaldamento vocale e a cose analoghe. Ritrovarsi ad avere a che fare con vocal coach che ogni giorno ti insegnano qualcosa, quando ti confronti con ragazzi che fanno un genere completamente diverso dal tuo, non può che lasciarti un bagaglio culturalmente importante».
Com’è stato stare senza telefono e senza social per ben sette mesi?
«Gratificante, ti dico la verità. Quando ti stacchi da quel mondo tutto è molto più bello, riesci a trovare veramente te stesso e quando raggiungi un buon equilibrio a livello personale riesci sicuramente a dare di più come artista».
Hai da pochissimo terminato il tuo instore tour in giro per l’Italia, com’è andata?
«E’ stato una figata, viaggiare e incontrare un sacco di gente. Avendo diciotto anni, per me è stato bello incontrare tanti miei coetanei, mi sono sentito uno di loro. Ho provato un sacco di emozioni, è stato veramente troppo bello».
Sei appassionato di eventi mistici, il tuo nome d’arte deriva da un sogno che hai fatto una notte. Mi spieghi meglio?
«Si (sorride, ndr), può sembrare un po’ strana come cosa, ma penso che capiti a tutti di fare dei sogni, in uno di questi ho sentito questa parola che, appena mi sono svegliato, mi è rimasta in testa e, molto semplicemente, ho scelto d’istinto questo nome che non ha nessun altro significato, nemmeno in altre lingue, ho provato a fare delle ricerche ma non esiste questo termine».
Come ti sei avvicinato alla musica e quando hai capito che questa tua grande passione poteva diventare potenzialmente un mestiere?
«La musica fà parte della mia vita da sempre, a dieci anni ho cominciato a capirne di più, iniziando ad ascoltare stili diversi, dal metal al rock, per poi passare completamente al rap, in quegli anni andava tantissimo Eminem, mi si è spalancato un mondo, non so spiegarti cosa sia successo esattamente, ma scoprire questo genere mi ha dato la possibilità di liberare quello che avevo dentro».
Per concludere Fabio, dove desideri arrivare con la tua musica?
«Sicuramente nei cuori delle persone, questa è la cosa in assoluto più importante. Poi, tutto il resto non si può sapere e non voglio neanche scoprirlo!».
Nico Donvito
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