Intervista a Joey, che ci racconta il suo nuovo singolo “Il bacio di Giuda” e qualche retroscena sul suo percorso discografico
Quello di Giorgia Bertolani, in arte Joey, cantautrice bolzanina classe ’95, è un talento cristallino: penna accattivante, perspicace, onesta, voce calda e con varie sfumature che le danno la possibilità di risultare efficace in diversi generi, e la precisa volontà di distinguersi da ciò che propongono le masse.
L’ha dimostrato con i suoi esordi rap, proprio nel momento in cui il genere iniziava a farsi spazio nelle nostre classifiche con la sua chiave più leggera e disimpegnata, e lei perseguiva invece, controcorrente, il modello di quello americano, con uno sguardo critico, una costante ricerca di contenuti e l’obiettivo di proporre spunti di riflessione all’ascoltatore (ve ne daranno un’idea brani come “Instabile” e “Non vi sopporto“). L’ha confermato anche più avanti con il passaggio in major (prima Sony, poi Warner), quando ha sì sposato una veste più pop – almeno a livello sonoro – ma senza comunque mai rinunciare alla marcata attenzione nella cura dei testi (“Non pregherò più” ha una profondità degna del miglior cantautorato femminile).
Un progetto, il suo, non pensato per la logica del tutto e subito di una musica sempre più omologata, mercificata e crudelmente attenta quasi solo a motivetti di facile presa, e quindi costretto a percorrere strade più impervie. Eppure questo non l’ha mai fermata perchè questa arte è, per lei, innanzitutto passione, verità, urgenza, sfogo, rifugio. E perché un vero artista non smette mai di esserlo, qualsiasi sia la realtà che lo circonda. Joey è indiscutibilmente artista. L’abbiamo raggiunta per farci raccontare il suo nuovo singolo “Il bacio di Giuda” e qualche retroscena sul suo percorso più recente.
Ne “Il bacio di Giuda” racconti una relazione tossica che hai realmente vissuto. Com’è nata l’idea di metterla in musica?
«Quando vivo qualcosa di particolarmente stressante emotivamente cerco di sfogarlo immediatamente in un pezzo e di pubblicare il brano prima possibile e con i mezzi che ho, qualità o meno, non mi importa, perché prima condivido quel dolore e prima vado avanti. Ogni tanto lo faccio. Anche nel caso de “La parte più buia di me” è stato così. Quando faccio così è perché devo assolutamente mettere un punto a qualcosa, è terapeutico per me».
“Come ho potuto farmi fare così male“, all’inizio del brano ti prendi quasi le colpe per il dolore che hai subito ed è un comportamento che condividi con tante altre persone che si sono trovate nella tua stessa situazione. Perché la vittima cerca di giustificare fino alla fine il carnefice? Subentra una sorta di dipendenza?
«Io non ci vedo come vittima e carnefice. Vedo due persone che non sono compatibili per svariati motivi. Parlando di farci del male invece, nel mio caso, è capitato che io non volessi vedere la persona che avevo realmente davanti perché era la mia prima relazione dopo parecchi anni e desideravo tantissimo avere l’amore che mi stavo costruendo. Diciamo che ho un po’ fatto tutto da sola. Non vorrei parlare a nome di persone che invece sono state vittime di violenze perché non è il mio caso, e non mi azzarderei a cercare di spiegare perché queste persone (che invece vittime lo sono) restano con il loro carnefice. Penso che ad un certo punto il problema sia la paura. E parlando di dipendenza, sì, nel mio caso si era creata una sorta di dipendenza affettiva. Per fortuna è durata molto poco».
Qual è il primo passo per trovare una via d’uscita?
«Il primo passo per trovare la giusta via d’uscita da qualsiasi situazione è parlarne. Sembra una banalità ma questa è una delle poche cose di cui sono sicura nella vita. Bisogna comunicare, confidarsi, esprimersi. Anche quando sembra inutile, anche quando condividere certe cose fa paura. L’essere umano ha questo dono della parola e spesso non ne riconosce le potenzialità, non riesce a sfruttarlo».
Il racconto funziona perché non fa sconti, ci sono immagini molto forti come “chiuso in bagno a prepararti la tua dose, mentre io preparavo i fiori per l’altare” ed è l’emblema di come la tua penna sappia essere, al tempo stesso, spigolosa e sensibile. Ti ci ritrovi in queste due definizioni?
«Sì, mi ci riconosco molto. Io dico le cose così come stanno. Poi ci ricamo su quando scrivo ovviamente, mi piace proprio, aggiungo qualche tocco “estetico”, diciamo. Però non riuscirei mai a scrivere cose che non sento o non vivo, la realtà è molto più interessante di quello che sembra. E mi piace che le cose siano sempre chiare, sia nella vita che nella musica».
Facciamo qualche passo indietro: 2019, esce “La rockstar” e quel brano ti porta su palchi importanti come quelli del Battiti Live e dei festival organizzati da RTL 102.5 e Radio Deejay. Che ricordi hai di quelle esperienze?
«Ho dei ricordi stupendi di Battiti Live e degli eventi con RTL. Mi sono divertita un sacco ed è stato speciale cantare davanti a tutta quella gente. Battiti Live, in particolare, mi è rimasto proprio nel cuore, ero agitatissima ma la gente sotto al palco (pur non essendo lì per me) era calorosa da morire. Mi hanno caricata tantissimo. Sentivo questa energia fortissima che arrivava dal pubblico e mi avvolgeva completamente, una sensazione che non dimenticherò mai. Veramente bellissimo».
L’anno successivo arriva invece “Dovrai” in duetto con Achille Lauro. Com’è stato collaborare con lui?
«In realtà è stato un po’ strano perché è successo durante il Covid purtroppo, quindi tutto a distanza. Non siamo riusciti a girare il video insieme e ho dovuto arrangiarmi a girarlo. Infatti è autoprodotto, cosa alla quale sono abituata in realtà (e mi piace un sacco occuparmi personalmente dei videoclip), ma mi sarebbe piaciuto molto di più girarlo insieme».
Quel brano è stato molto apprezzato dal pubblico ma in molti i complimenti li facevano solo a lui quando in realtà era scritto da te, ed è una cosa che riguarda la musica in generale: c’è molta superficialità nei confronti degli autori. Come si sente un autore quando non vede riconosciuto il proprio lavoro?
«Si sente di m***a, detta proprio fuori dai denti… Oltretutto, trattando temi sempre super personali, è ancora più frustrante. Più che altro ho sempre avuto la sensazione che le persone facciano fatica a credere che l’autrice sia una donna, siamo ancora molto sottovalutate nel campo del cantautorato dal mio punto di vista».
In quel periodo iniziano però ad arrivare anche i lati oscuri del successo e, spenti i riflettori, hai dichiarato che ti sentivi “inerme e confusa a rantolare nel buio del dietro le quinte”. Cosa ti faceva sentire sola?
«Non mi sentivo capita come persona. La musica a mio parere non è un lavoro in cui si dovrebbe scindere totalmente l’artista dalla persona perché, almeno nel mio caso, viaggiano sulla stessa lunghezza d’onda e faccio fatica a capire chi ti considera in quanto Joey ma non in quanto Giorgia. Quando Joey e Giorgia non viaggiavano più fianco a fianco ho cominciato ad andare in crisi. Forse è un mio limite, però è così. Forse dovrei essere più imprenditrice per funzionare, ma onestamente non è una cosa che al momento sono in grado di fare né mi interessa».
Come ti poni oggi nei confronti di quel mondo? Ti ha delusa? La musica, pensando a tutto il tuo percorso, finora ti ha fatto più male o bene?
«Onestamente sì, un po’ mi ha delusa, ma penso che con le giuste accortezze e meno ingenuità ci si possa trarre sicuramente qualcosa di buono. Ora saprei come pormi e cosa aspettarmi, insomma. La musica in quanto tale non mi ha mai fatto male, tutto quello che le è girato attorno invece me ne ha fatto tanto. È per questo che ho voluto scindere le cose, perché stavo arrivando ad odiare una delle cose più belle e preziose che ho».
Sabato torni sul palco dopo tanto tempo, a Laives (BZ). Come vivi il momento del live e cosa deve aspettarsi chi verrà a vederti?
«Vivo il momento del live con una grandissima ansia ed emozione come sempre, come fosse la prima volta, ma con tanta voglia di godermela e divertirmi. Per tanto tempo non ho potuto espormi nei contesti che volevo e questa libertà me la voglio godere al 100% e tenermela bella stretta. Chi verrà a vedermi dovrà aspettarsi semplicemente un essere umano, con le sue fragilità e il genuino bisogno di comunicare ed esprimersi. Niente di più, niente di meno».
Nick Tara
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