venerdì 4 Ottobre 2024

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Jonathan Cilia Faro: “Vivo la vita e la musica nota dopo nota” – INTERVISTA

A tu per tu con con il tenore italiano in uscita con il suo nono progetto discografico “From now on”

Una personalità importante e una voce imponente, così potremmo sinteticamente definire Jonathan Cilia Faro, italiano vero e verace che ha scelto di esportare nel mondo la tradizione e la passione del nostro bel canto. “From now on” è il titolo del suo ultimo album, distribuito da BFD / Sony Orchard e disponibile negli store a partire dallo scorso 26 aprile. Dodici tracce composte alcuni degli autori più importanti della scena internazionale, a cominciare da  Cheope Mogol, Paolo Marioni, Antonio Galbiati, Eugenio Vinciguerra, Jeff Franzel, Vincenzo Incenzo, Peppe Arezzo e Fernando Alba. Un progetto che ha richiesto sei lunghi anni di lavoro, registrato fra New York, Londra, Milano, Firenze, Marsala e Ragusa.

Ciao Jonathan, partiamo dal tuo nono disco in studio “From now on”, che tappa rappresenta nel tuo percorso?

«La risposta potrebbe essere breve: “From Now On” è il sogno che diventa realtà. Sono arrivato a 37 anni e ne ho passate di tutti i colori da un punto di vista professionale, altri al posto mio avrebbero rinunciato a inseguire il sogno invece io, grazie al mio carattere, alla mia tenacia e al profondo amore per la musica non mi sono dato per vinto e ho deciso di continuare. Ho fatto scelte drastiche, come quella di emigrare 5 anni fa lasciandomi tutto alle spalle ma c’era la “passione” per la musica, la mia musica, che mi ha guidato e sorretto nelle scelte. Sentivo che dovevo assolutamente cantare, incidere il mio nono album, sentivo che era arrivato il momento di lasciare inciso qualcosa nel tempo. Ed ecco il risultato!».

Quali tematiche e che tipo di sonorità hai scelto di abbracciare?

«I sentimenti sono il leitmotiv di tutto l’album. Le relazioni personali, le amicizie, gli amori, sono presenti in tutte le 12 tracce di “From Now On”. Ho scelto di trattare questi temi perché oggi, più che mai, la nostra società corre troppo velocemente e la tecnologia ha reso tutto estremamente sterile. Per questa ragione ho anche deciso di tornare alle origini con la musica: a parte due brani (“I Love how you love me” e “Una vecchia amica”, ndr), i restanti 10 sono stati incisi avvalendomi di un’orchestra sinfonica e non del digitale elettronico».

Nell’album figurano autori e musicisti di fama internazionale, chi ha collaborato con te in questo progetto?

«Alla realizzazione di “From Now On” hanno collaborato ben 62 musicisti e artisti… Sarebbe troppo lungo citare ciascuno di loro e raccontare l’apporto che ognuno ha dato a questo nuovo disco. E’ innegabile che solo la loro partecipazione ha potuto rendere possibile un progetto così unico e speciale nel suo genere. Ritengo in ogni caso doveroso citare i 5 arrangiatori che elenco in ordine di vecchaia: Matteo Cifelli, Nicolò Fragile, Peppe Arezzo, Emanuele Chirco e il giovanissimo Emanuele Giocondo. Spendo qualche parola in più per Matteo Cifelli al quale sono legato da una amicizia fraterna e grande stima professionale. Senza di lui non mi sarei sicuramente imbarcato in questo progetto.

Per quanto riguarda gli autori, parte altrettanto fondamentale di qualsivoglia progetto, gli illustri nomi che hanno collaborato alla realizzazione di “From Now On” sono: Antonio Galbiati, Jeff Franzel, Cheope Rapetti Mogol, Kaballa, Vincenzo Incenzo, Paolo e Serena Marioni, Fernando Alba, Francesco e Martina Romeo ed Eugenio Vinciguerra. Tutti nomi che ogni giorno realizzano opere d’arte che vengono consegnate in mano a noi, cantanti, con la finalità di interpretarle al meglio, valorizzarle e colmarle di emozioni. Ammetto di aver scritto e arrangiato a mia volta qualche brano ma… lasciamo al pubblico scoprire e giudicare!».

In un’epoca dove spesso i dischi vengono realizzati nel giro di un mese, questo tuo nuovo progetto arriva dopo sei lunghi anni di lavoro. Quanto è importante non subire pressioni nella fase creativa?

«Il miglior modo per spiegare questo concetto è utilizzare come esempio la produzione del vino. Ci sono dei vini prodotti e distribuiti in larga scala rivolti a consumatori di massa. Questi vini vengono prodotti molto velocemente e la loro qualità è scarsa. Esistono poi vini d’eccellenza. Questi ultimi necessitano di lunghe e attente lavorazioni ed invecchiamento. Sono vini rivolti a intenditori.

Fatto questo esempio, la risposta è quindi semplice: ho scelto di lavorare a lungo, ho sperimentato note, suoni, armonie. Ho fatto e disfatto ogni brano un’infinità di volte per raggiungere un risultato eccellente. Non ho idea se questo mio lavoro sarà apprezzato, non riesco nemmeno ad ipotizzare quante copie dell’album potrei vendere ma, al momento, è l’ultimo dei miei pensieri».

L’album è stato anticipato dal singolo “Fine non ho mai”, cosa racconta?

«“Fine non ha mai” è una dichiarazione molto forte di cosa possa essere l’amore e di come possa questo sentimento possa stravolgere l’esistenza. L’amore è come l’acqua: si adatta a qualsiasi forma, è trasparente ed è fondamentale per l’umana sopravvivenza. “Fine non ha mai” vuole che le persone non dimentichino mai quanto sia importante l’amore incoraggiando ciascuno di noi a coltivarlo ed esaltarlo. “Fine non ha mai” è una romanza composta egregiamente da Antonio Galbiati, Cheope Mogol e Jeff Frenzel».

Facciamo un salto indietro nel tempo, quando e come hai scoperto la tua passione per la musica?

«Ero un bambino quando una suora mi fece notare come fossi capace di cantare sulle note delle arie cantate da Mario Del Monaco e Pavarotti e, a soli 12 anni, il mio insegnante di recitazione disse alla mia famiglia che avevo una dote naturale e che era il caso di prendere lezioni da un professionista. Fu Peppe Arezzo a farmi diventare un elemento del coro “Il Pentagramma” e, tra un’operetta e un’opera le mie capacità vocali si sono affinate e con tanto studio e tanta tenacia eccomi arrivato fino a qui. Lo sforzo maggiore è stato imparare a dominare e dosare la mia vocalità ma grazie alla guida e alla pazienza di grandi Maestri ho domato quel fuoco dentro di me chiamato “musica”».

Quali ascolti hanno accompagnato e influenzato il tuo percorso?

«Anche se oggi mi piacerebbe poterli definire “competitor”, la parte vocale e la scelta artistica sono frutto dell’ascolto e dell’ammirazione di grandi cantanti come Andrea Bocelli, José Cura e Luciano Pavarotti che mi hanno – a loro insaputa – lanciato la sfida. Gli artisti che invece hanno parlato al mio cuore sono Riccardo Cocciante e Renato Zero, che sono stati capaci di esaltare in me i sentimenti e la poesia. A Celso Valli e Fio Zanotti devo la grande influenza musicale».

Nonostante le tue origini siciliane da diverso tempo sei cittadino del mondo, come viene percepito il nostro bel canto all’estero?

«Dopo “pasta, pizza e mandolino”, il bel canto è l’elemento che rende ancora grande il nostro Paese. Ovunque io vada mi rendo conto di riuscire ad abbracciare il mio pubblico con la mia voce. Proprio durante i miei concerti avverto quanto le persone abbiano bisogno di amore e di musica, vera musica. Quando parlo di vera musica parlo di quell’arte che racchiude in sé ingredienti fondamentali come i suoni, il ritmo, l’armonia e la poesia. Oggi spesso si parla di musica anche quando quest’ultima è artefatta. Un po’ come la “pasta senza glutine”. Per quanto venga chiamata “pasta” discosta di gran lunga dall’originale, è simile ma non si può pretendere che sia uguale.

Musica è una parola a volte molto generica. La vera musica è quella che arriva dritta al cuore scatenando un’infinità di emozioni. Io penso di cantare e interpretare la vera musica. Me ne accorgo quando, specialmente all’estero, il pubblico canta con me pur non conoscendo l’italiano. Una vera magia!».

In Italia, invece, c’è ancora attenzione verso questo stile di musica che, sin dai primi anni del ‘900, ci ha permesso di varcare i confini e di essere riconosciuti a livello nazionale?

«Anche in Italia, ultimamente, ci siamo fatti trascinare un po’ troppo dalle mode ma, fortunatamente, le nostre radici e il nostro bel canto non sono andati persi. Modugno è stato il padre del bel canto nel dopoguerra tantoché in tutto il mondo ancora oggi si cantano “Volare”, “Caruso”, “Arrivederci Roma” e “O Sole mio”. “Con te partirò” scritta da Lucio Quarantotto e interpretata magistralmente da Andrea Bocelli è storia più recente ma con lo stesso risultato. Un motivo ci sarà se la nostra musica riesce a far vibrare l’anima in tutto il mondo!

Bisognerebbe però che i nostri media ci aiutassero a diffondere la musica nel max streaming perché questo è l’unico modo per conservare quello che i maestri del passato ci hanno regalato. Pensiamo a quanti musicisti e orchestre potrebbero lavorare e intrattenere il pubblico con composizioni sinfoniche a cavallo con la musica pop! La musica attuale, invece, troppo spesso viene prodotta in modalità “catena di montaggio” perdendo automaticamente il suo fascino e la sua arte».

Quanto è importante, secondo te, approfondire la conoscenza del nostro passato per poter comprendere al meglio l’attuale situazione musicale?

«Per me più che importante sarebbe fondamentale far sì che i nostri figli si acculturassero ascoltando anche la musica e le canzoni del passato. Nella musica e nelle canzoni del passato c’era la storia, c’erano sempre degli insegnamenti, c’era sempre una morale, c’era sempre la speranza. Gli autori scrivevano e i cantanti rappresentavano lo stato d’animo della gente. Dovremmo davvero sensibilizzare i nostri giovani avvicinandoli a una musica che, all’inizio potrebbe “suonare” difficile se non, addirittura, incomprensibile.

Proviamo a mettere le nuove generazioni davanti a un’orchestra sinfonica e, ti garantisco, cambieremo loro l’esistenza e il modo di vedere le cose!».

Per concludere, qual è l’insegnamento più importante che senti di aver appreso da tutti questi anni di musica?

«Penso non ci sia fine all’apprendimento della musica. La musica richiede uno studio costante, la musica è una scoperta quotidiana, la musica è in continua evoluzione. La musica è un mondo tridimensionale così complesso ed esteso che nessuno riuscirà a studiarla mai fino alla fine. Per quanto mi riguarda, ho deciso di vivere nutrendomi di musica, lasciando lavorare le vibrazioni che ogni giorno crescono in me. Il mio obiettivo è quello di circondarmi di musica rispettando la sua complessità e la sua magia. Ogni giorno mi godo la musica e la vita nota dopo nota. Sono un privilegiato. Viva la musica!».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.