A tu per tu con Kaballà, per parlare del disco “Petra Lavica” che torna in una nuova versione rimasterizzata a 33 anni dall’uscita. La nostra intervista al cantautore
Dopo 33 anni dalla sua pubblicazione, è uscito in una nuova versione totalmente rimasterizzata in formato vinile 33 giri a tiratura limitata“Petra Lavica” (Warner Music Italy), il primo album di Kaballà.
Online il video ufficiale del 1991 con audio rimasterizzato di “Petra Lavica”: https://www.youtube.com/watch?v=8ij6jN0DezE.
Uscito originariamente nel 1991, “Petra Lavica” sfidò le convenzioni con un audace mix di rock, folk mediterraneo e influenze internazionali, cantato in dialetto siciliano.
Sono gli anni ’90, un’epoca in cui il panorama musicale italiano stava appena sperimentando la fusione tra dialetti e nuove sonorità, Kaballà osò spingersi oltre, dando vita a un lavoro che anticipava i tempi e guardava alla scena musicale europea. Approfondiamone la conoscenza.
Che emozioni hai provato nel rivedere e riascoltare “Petra Lavica” tornare in una nuova versione rimasterizzata dopo ben 33 anni?
«In realtà “Petra Lavica” in tutti questi anni ha risuonato dentro di me migliaia di volte, era un seme piantato che ha generato fiori diversi. Ho interpretato le canzoni di questo disco centinaia di volte dandogli una veste, colori ed arrangiamenti sempre nuovi. Per cui questa versione si può considerare come la sua rinascita e l’ennesima grande emozione che mi ha regalato».
Cosa ha rappresentato per te questo progetto sia a livello personale che musicale?
«Esordire nel mondo della musica con un progetto collettivo che aveva bisogno di mentori e maestri e che poi nel tempo si è rivelato così originale, coraggioso e importante mi ha inizialmente “confuso” sulle mie possibilità di proseguire da solo. Ho avuto luci ed ombre, sono caduto e mi sono rialzato, ma nel tempo ho imparato sempre di più ad avere la consapevolezza che potevo avere il mio ruolo nel mondo della musica. Lavorando con pazienza, umiltà e tenacia penso di essermi guadagnato il posto che tuttora occupo».
Nel corso degli anni, “Petra Lavica” è stato considerato come un manifesto di contaminazione musicale. Da quali intuizioni fu ispirato?
«Più di uno furono le intuizioni e i motivi ispiratori: la musica che girava intorno, detta allora World Music che aveva come riferimento in Europa Peter Gabriel e in Italia “Creuza de Ma” di De André e Mauro Pagani, contaminazioni di Rock, Folk mediterraneo e nord Europeo, musica d’autore internazionale e italiana, echi esotici mediorientali e una spruzzata di psichedelia. A completare tutto, l’uso del mio dialetto che è stato suono, sentimento, cultura e recupero delle radici, riconciliandomi con la mia terra madre».
Il tuo nome d’arte, Kaballà, è stato inventato da Massimo Bubola. Puoi raccontarci com’è nato e quale significato ha per te questo nome?
«Come tutti i nomi strani e originali all’inizio non mi suonava bene e mi faceva un certo effetto conviverci, ma adesso non saprei più separarmene perché sento che mi è caro, mi appartiene e mi rappresenta. L’intuizione di Massimo Bubola di farne un nome di un progetto impersonale e collettivo era giusta, il suo significato esoterico e magico era celato dietro i suoni, i segni e i numeri. Per noi era più semplicemente l’alchimia di suoni diversi e lingue diverse che si incontravano nella forma canzone. Il significato letterale della parola è “il ricevere”. È stato così, da questo nome ho “ricevuto” la fortuna dei sogni che si fanno numeri che si giocano sulla ruota del destino».
Riascoltando il disco con il suono rimasterizzato, hai notato delle sfumature che ti erano sfuggite all’epoca?
«I reverberi utilizzati nelle registrazioni rigorosamente analogiche dell’epoca sono stati rispettati senza che venissero snaturati, il remastering ha reso i suoni più brillanti ma mantenendo il calore dei suoni ed evidenziando timbriche di alcuni strumenti che hanno ritrovato luce come nel restauro rispettoso dei colori originali di un antico quadro».
Nella tua carriera hai scritto per numerosissimi artisti. Come riesci a mantenere un equilibrio tra la tua identità musicale personale e la scrittura per altri artisti?
«Nella mia carriera di autore per altri artisti sono sempre stato attento a mantenere una mia identità stilistica pur adattandomi e mettendomi al servizio delle voci e delle personalità più disparate. Non è facile mantenere questo equilibrio, ma ho sempre lavorato con l’attenzione dell’artigiano che rispetta la materia delicata su cui lavora e nella quale lascia con discrezione la sua impronta creativa senza snaturarla. Penso di esserci riuscito bene molte volte».
Per concludere, qual è la lezione più importante che senti di aver appreso dalla musica fino ad oggi?
«Mi viene in mente una frase dello scrittore Nick Hornby che faccio mia per sintetizzare una risposta a questa domanda, apparentemente semplice ma al tempo stesso molto complicata: “ La musica ha un grande potere: ti riporta indietro nel momento stesso in cui ti porta avanti, così che provi, contemporaneamente, nostalgia e speranza”».
Nico Donvito
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