“La razza in estinzione” di Giorgio Gaber: te la ricordi questa?
Viaggio quotidiano nella colonna sonora della nostra memoria, tra melodie sospese nel tempo pronte a farci emozionare. Oggi parliamo di “La razza in estinzione” di Giorgio Gaber
La musica è la nostra macchina del tempo: basta una nota, un ritornello, ed eccoci di nuovo lì, in una stagione vicina o lontana, in un’auto con i finestrini abbassati o nella cameretta della nostra infanzia. “Te la ricordi questa?” è il nostro appuntamento quotidiano per riavvolgere il nastro delle emozioni, proprio come si faceva una volta con una semplice penna e una musicassetta. Oggi l’orologio del tempo ci riporta al 2001 con “La razza in estinzione” di Giorgio Gaber.
Ogni giorno, alle 13:00, vi accompagneremo in un viaggio musicale alla riscoperta di queste gemme nascoste: canzoni che hanno detto tanto e che hanno ancora tanto da dire, pronte a sbloccare ricordi, evocare immagini, restituirci pezzi di passato con la potenza che solo la musica sa avere. Brani che forse oggi non passano più in radio, pezzi di artisti affermati lasciati in un angolo, o successi di nomi che il tempo ha sbiadito ma che, appena tornano nelle nostre orecchie, sanno ancora farci vibrare. Perché la musica non invecchia, si nasconde soltanto tra le pieghe del tempo, aspettando il momento giusto per colpire nel segno e farci esclamare sorpresi un: “Te la ricordi questa?”.
Ti sblocco un ricordo: “La razza in estinzione” di Giorgio Gaber
Con “La razza in estinzione”, pubblicata nel 2001 nell’album “La mia generazione ha perso”, Giorgio Gaber firma uno dei suoi brani più lucidi, taglienti e amareggiati. Una canzone-manifesto, che attraversa come un coltello la carne molle della società contemporanea, sferzandone ipocrisie, superficialità, contraddizioni e derive culturali con quella caustica ironia che è sempre stata cifra stilistica del Signor G.
Gaber non si pone al di sopra: osserva il presente da dentro, senza sconti per nessuno, nemmeno per sé stesso. Non è un esercizio di nostalgia, ma un bilancio impietoso: la sua generazione — quella del Sessantotto, delle utopie, delle piazze piene — ha perso. Lo dice esplicitamente e più volte. Il sogno di un cambiamento si è infranto contro una realtà indifferente e omologata.
La “razza in estinzione” non è anagrafica, è culturale e spirituale. È quella di chi pensa con la propria testa, di chi si indigna, di chi cerca il senso delle cose invece del rumore. Il mondo che Gaber descrive è un cimitero della coscienza, dove i musei diventano supermercati culturali, la scuola produce ignoranza aggiornata, e la democrazia è solo una parola sbiadita, buona per i talk show.
Vent’anni dopo, “La razza in estinzione” suona come una profezia avverata. Il disprezzo di Gaber per il mercato globale, per l’appiattimento delle coscienze, per la Chiesa che rincorre la spettacolarizzazione, è tutt’altro che invecchiato. Semmai, si è radicalizzato nel nostro presente digitale, urlato, anestetizzato.
“La razza in estinzione” è un’opera spietata e necessaria. Un pugno nello stomaco mascherato da canzone. Gaber non si limita a denunciare: firma il testamento di un ideale, di un pensiero critico, di una generazione che, pur avendo perso, ha avuto il coraggio di combattere. In un’epoca in cui indignarsi sembra fuori moda, Giorgio Gaber ci ricorda che la vera estinzione è quella dell’intelligenza, del dubbio, del dissenso. Ed è proprio per questo che la sua voce serve oggi più che mai.
Il testo di “La razza in estinzione” di Giorgio Gaber
Non mi piace la finta allegria
Non sopporto neanche le cene in compagnia
E coi giovani sono intransigente
Di certe mode, canzoni e trasgressioni non me ne frega niente
E sono anche un po’ annoiato da chi ci fa la morale
Ed esalta come sacra la vita coniugale
E poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
Ma io non riesco a tollerare le loro esibizioni
Non mi piace chi è troppo solidale
E fa il professionista del sociale
Ma chi specula su chi è malato
Su disabili, tossici e anziani è un vero criminale
Ma non vedo più nessuno che s’incazza
Fra tutti gli assuefatti della nuova razza
E chi si inventa un bel partito per il nostro bene
Sembra proprio destinato a diventare un buffone
Ma forse sono io che faccio parte
Di una razza in estinzione
La mia generazione ha visto
Le strade, le piazze gremite di gente appassionata
Sicura di ridare un senso alla propria vita
Ma ormai son tutte cose del secolo scorso
La mia generazione
Ha perso
Non mi piace la troppa informazione
Odio anche i giornali e la televisione
La cultura per le masse è un’idiozia
La fila coi panini davanti ai musei mi fa malinconia
E la tecnologia ci porterà lontano
Ma non c’è più nessuno che sappia l’Italiano
C’è di buono che la scuola si aggiorna con urgenza
E con tutti i nuovi quiz ci garantisce l’ignoranza
Non mi piace nessuna ideologia
Non faccio neanche il tifo per la democrazia
Di gente che ha da dire, ce n’è tanta
La qualità non è richiesta, è il numero che conta
E anche il mio paese mi piace sempre meno
Non credo più all’ingegno del popolo Italiano
Dove ogni intellettuale fa opinione
Ma se lo guardi bene, è il solito coglione
Ma forse sono io che faccio parte
Di una razza in estinzione
La mia generazione ha visto
Migliaia di ragazzi pronti a tutto, che stavano cercando
Magari con un po’ di presunzione, di cambiare il mondo
Possiamo raccontarlo ai figli, senza alcun rimorso
Ma la mia generazione
Ha perso
Non mi piace il mercato globale
Che è il paradiso di ogni multinazionale
E un domani, state pur tranquilli
Ci saranno sempre più poveri e più ricchi, ma tutti più imbecilli
E immagino un futuro senza alcun rimedio
Una specie di massa, senza più un individuo
E vedo il nostro Stato che è pavido e impotente
È sempre più allo sfascio e non gliene frega niente
E vedo anche una Chiesa che incalza più che mai
Io vorrei che sprofondasse, con tutti i Papi e i Giubilei
Ma questa è un’astrazione
È un’idea di chi appartiene
A una razza in estinzione