Quando si parla di un piattume generale della musica italiana, e non solo, si compie forse uno dei più gravi errori che un critico/esperto di musica (o chi si finge di esserlo) possa compiere nel fare il proprio lavoro. In realtà la ricerca di nuovi suoni, un aggiornamento della tradizione cantautorale italiana ispirata ai grandi nomi del passato e un vero percorso artistico che esuli dal voler piacere (e vendere dischi) a tutti i costi è ancora possibile e c’è chi continua ad operare in questo senso. La difficoltà principale sta nel cercare (e nel trovare) chi fa parte di questa realtà musicale che spesso appare isolata sulla cima dell’Olimpo come gli antichi Dei greci non, però, per proprio desiderio (o, almeno, non sempre) ma perché la vista (e in questo caso ci metterei anche l’udito) dei “comuni mortali” appare sensibilmente limitata. Abbiamo raggiunto telefonicamente Niccolò, uno dei due fratelli che nel 2015 hanno pubblicato il loro primo disco intitolato “La Scapigliatura”, esattamente come il nome del gruppo che formano. Un album fatto di libertà e sincerità nell’espressione, ricco di spunti e di riferimenti culturali importanti non solo in ambito musicale. Ecco l’intervista, o meglio la chiacchierata, che abbiamo realizzato con lui parlando dei loro progetti e di molto altro tra un autogrill e un caffè lungo:
Allora vorrei partire dalla domanda forse più banale in assoluto. Nel 2015 è uscito il vostro primo album intitolato proprio “La scapigliatura”. Che cosa rappresenta per voi questo lavoro?
<<Sicuramente questo disco rappresenta un manifesto del nostro modo di essere. Il fatto che noi stessi abbiamo scelto come nome “la scapigliatura”, sfruttando il nome del movimento artistico e letterario del 1800, è per mettere a nudo come siamo e come ci sentiamo di essere veramente. La Scapigliatura è il movimento che si avvicinava di più a noi per la contraddizione tra quello che abbiamo in testa e quello che abbiamo in tasca (ride) anche per questa necessità di utilizzare delle forme alte della poesia piuttosto che della pittura per esprimere comunque dei contenuti che erano tralasciati e che lo sono ancora grossomodo. E’ fotografia esatta di noi due nel 2015, un vero e proprio manifesto di una Scapigliatura 2.0>>.
Questo disco è frutto di un lungo lavoro di produzione ma quando parte il vostro desiderio di fare musica in realtà?
<<E’ un disco con un tempo di preparazione lungo perché, come ogni primo disco, raccoglie tutto il proprio vissuto e tutte le cose che si sono fatte musicalmente fino a quel punto nella propria vita. Il nostro desiderio di suonare, però, nasce fin da piccoli anche grazie alla nostra educazione familiare che ci ha sempre spinto a suonare. Siamo partiti in un classico gruppo punk suonando insieme poi, invece, ci siamo divisi musicalmente finchè ad un certo punto abbiamo deciso di legare i nostri percorsi per fare questo disco vero. Ci siamo messi a scrivere e suonare insieme 3 anni fa mettendoci a registrare provini per proporli a case discografiche per fare un disco vero>>.
So che voi siete fratelli, non vi capitava mai di litigare sia fuori che dentro la musica oppure avete una visione delle cose abbastanza simili?
<<Abbiamo la fortuna di avere un bel rapporto per cui non ci siamo mai scontrati veramente. Ovviamente ci confrontiamo e discutiamo ma fortunatamente abbiamo più o meno gli stessi gusti e degli ascolti complementari che riusciamo ad unire nelle nostre canzoni che ci piacciono sempre allo stesso modo. C’è equilibrio tra di noi anche se poi magari canto io non voglio emergere per forza come avviene di solito. Questo ci ha permesso di rivisitare completamente il concetto classico di cantautore inteso come una persona che scrive e canta le proprie canzoni; noi siamo un cantautore unico fatto da due persone. Visto che la canzone deve raccontare tutti e non soltanto noi stessi il fatto di cantare cose che a volte ha scritto mio fratello mi porta a ritrovarmi nelle parole di quella canzone anche se non le ho scritte io. E’ una fortuna che cerchiamo di massimizzare>>.
Nei vostri pezzi c’è spesso il richiamo all’arte: citate più volte nei testi “tele”, “pittori” o artisti veri e propri. Qual è il vostro rapporto con l’arte visto che anche il vostro nome ha in qualche modo a che fare con l’ambiente artistico?
<<E’ un rapporto di seduzione nel senso che siamo in un periodo storico in cui il concetto di arte è stato molto esteso e relativizzato per cui penso che l’arte sia un esercizio di seduzione. L’importante è essere aperti e cercare ciò che nella vita ci può sedurre. Ci sono molti modi per esercitare questa seduzione ma una volta che si è sedotti dall’arte non se ne può fare a meno. Il nostro rapporto con l’arte dunque è a volte di distacco e altre volte di grande vicinanza perché non tutto ci piace e ci emoziona>>.
Come hai detto il concetto di arte in questo periodo si è molto esteso e la polemica sul poter definirsi “artisti” con facilità è di grande attualità. Da parte tua senti di appartenere a chi pensa che veri artisti ce ne siano molto pochi oppure a chi crede che ognuno possa, a modo proprio, essere un artista?
<<Io penso che artisti ce ne siano tanti al giorno d’oggi se con artisti intendiamo delle persone che creano potenziali strumenti di seduzione per altri. Poi, però, ci sono degli schemi e delle forme che sono considerati dalla storia strumenti per fare un’opera d’arte; la vera abilità dell’artista di oggi dovrebbe essere quella di creare qualcosa di nuovo utilizzando schemi vecchi ed è quello che abbiamo cercato di fare noi con il nostro album, scritto interamente in metrica, quindi secondo gli schemi tradizionali della forma d’arte catalogata come “canzone”, utilizzando però anche degli strumenti moderni e contemporanei. Il problema principale è il fatto che oggi sono saltati tutti gli schemi e di conseguenza può funzionare qualsiasi cosa. Faccio un esempio: il verso dei Modà “a guardare le nuvole su un tappeto di fragole” è una frase che non significa nulla ma che è comunque un verso scritto correttamente in metrica e come tale può essere considerata arte perché rispettosa degli schemi che la definiscono. Dal mio punto di vista, però, può essere corretta metricamente ma il contenuto assente mi rende difficile il poterla considerare una vera forma artistica>>.
Attualmente siete tra i casi più interessanti dell’indie made in Italy, un genere che negli ultimi anni si vede poco in cima alle classifiche. Qual è secondo voi il motivo del fatto che brani come i vostri con una determinata matrice artistica facciano così fatica a farsi spazio nel mercato discografico dei nostri giorni?
<<Secondo me il problema è di matrice politica a prescindere dal fatto che non c’è una politica esplicita nelle nostre canzoni. Io credo, però, che il sistema neoliberista di sfruttamento di un certo tipo di commercio fatto dalla semplicità, dall’immediatezza e dal consumo verace abbia portato a semplificare eccessivamente il mercato discografico che, negli ultimi anni, è praticamente morto. E questo non solo nella musica ma anche nella televisione o nella cultura dove vende ciò che è semplice ma, a mio modo di vedere, la cultura non è quella che vende ma quella che ha qualità. Purtroppo, se il riconoscimento artistico passa solo ed unicamente da quanto si vende, come avviene in Italia e nel mondo occidentale in generale, diventa difficile avere accesso nei mezzi di comunicazioni per le cose che sono di più difficile comprensione. Dei De Gregori, dei De Andrè o dei Dalla oggi non potrebbero emergere perché c’è spazio solo per le nuvole e le fragole nel “mercato” oppure per i grandi miti del passato che ormai però stanno svanendo piano piano. La mia fiducia sta nella prospettiva che tutto questo imploderà perché se il mercato discografico si è ridotto del 90% negli ultimi 10 anni significa che il 90% delle persone sono scontente della musica proposta e che non riescono ad accedere a soluzioni alternative oscurate dai media. Penso però che il bisogno di musica crescente porterà a far implodere questo sistema basato sul commercio ridando spazio alla musica>>.
Ascoltando il vostro album oltre agli elementi che abbiamo già sottolineato negli arrangiamenti c’è una massiccia presenza dell’elettronica che negli ultimi tempi sta contagiando gran parte della musica italiana. Qual è la potenzialità di questo “nuovo strumento musicale”?
<<La nostra è un’elettronica intima che va a coinvolgere chi ha una capacità di ascolto ed una sensibilità di un certo tipo e che fa rimanere l’idea di una musica vecchio stampo priva di qualsiasi forma di elettronica a chi non ha queste capacità. Tutto questo perché per noi l’elettronica non è l’inserimento della tipica cassa in quattro quarti che identifica sommariamente la musica elettronica comunamente. L’elettronica se intesa come digitalizzazione del suono ha una potenzialità infinita perché ha permesso di superare le barriere della creatività>>.
Nel vostro modo di scrivere c’è un esplicito richiamo al cantautorato italiano più classico. Quali sono le vostre influenze più forti per il modo di scrivere e per il suono?
<<Dal punto di vista della parola prendiamo molto da Guccini, De Gregori, Piero Ciampi, Iannaci, Gaber che ancora ascoltiamo quotidianamente. Io personalmente amo molto Guccini mentre mio fratello è un ricercatore assoluto nel mondo musicale globale e ama moltissimo i Radiohead, che sono l’apice della sperimentazione accessibile, oltre a Charlie Paker e The National. Non siamo frequentatori del classici del rock come Bowie, i Pink Floyd o i Led Zeppelin dai quali siamo sempre rimasti accollati eccessivamente forse>>.
Un’altra influenza che salta subito all’occhio sono le atmosfere francesi che contagiano sia parte dei testi che i suoni che ricordano sonorità più nordiche. Da cosa deriva questa influenza?
<<Mio fratello vive in Francia ed è lui che ha dato l’idea di muoversi in quella direzione è prevalente sua ma le nostre preparazioni complementari (io ho una preparazione ritmica lui, invece, armonica) ci hanno permesso di sviluppare una via nuova con un mix tra tradizione e innovazione di suoni nordici. Le sonorità colpiscono il senso dell’udito che, prima della fotografia, era uno senso molto efficace per la conoscenza. Quando siamo andati a fare un viaggio in Norvegia per concludere il nostro disco abbiamo cercato di creare delle fotografie sonore del nord Europa da inserire in questo disco sfruttando i suoni che quei paesaggi suscitavano in ciascuno di noi due>>.
I vostri prossimi progetti futuri dove vi vedranno impegnati?
<<Non ci fermiamo da un anno esatto dalla tournée. Abbiamo fatto più di 80 concerti e ce ne saranno ancora altri fino a settembre. Dalla fine di questo tour ci dedicheremo al prossimo disco in modo più concreto e serio che al momento non stiamo facendo perché l’unico modo di fare un disco è vivere anche al di fuori della musica. Al momento abbiamo solo abbozzato qualcosa ma c’è ovviamente ancora moltissimo lavoro da fare per arrivare ad un risultato finale che comunque risentirà della grande gavetta che abbiamo fatto in questi mesi live>>.
Se aveste a disposizione una sola canzone del vostro album da fare ascoltare a qualcuno che non vi conosce quale scegliereste per farvi conoscere il più possibile?
<<E’ una domanda strana perché per me molto dipende dalla persona che ho davanti in quel momento. Il problema quando si fa un disco è scegliere un singolo che ti rappresenti appieno e per un ascoltatore generico. La soluzione è quindi quella di rilasciare più singoli per far conoscere sfaccettature diverse e sposare un pubblico più vasto possibile. Se, personalmente, devo scegliere il brano più rappresentativo di questo disco e de “La Scapigliatura” in questo momento allora direi “Le donne degli altri” o “L’ultimo metrò” oppure “Margherita”. Se tra tutte dovessi scegliere la canzone che potrebbe descriverci di più e presentarci a chi non conosce direi “Le donne degli altri”>>.
E se invece dovessi fare il titolo di un brano della storia della musica italiana che per voi ha un valore speciale?
<<In questo momento della mia vita sceglierei “Canzone di notte n.3” di Guccini. Avrei comunque scelto una canzone di Guccini perché ha la capacità di rappresentare tutto quello che ho vissuto personalmente in ogni circostanza che mi stupisce sempre. In questa sua canzone, come sempre d’altronde nelle opere di Guccini, c’è un inizio ed una fine, che è la fine dell’inizio, con un contenuto chiaro dal punto di vista del significato anche se è difficile da rielaborare ma il succo sta in quell’ultima frase che dice: “noi, se si muore solo un po’ chi se ne fotte ma sia molto tardi che si va a dormire”>>.
Qui potete ascoltare il loro album “La Scapigliatura” che vi consigliamo veramente se volete cercare di guardare un po’ oltre quel limite apparentemente invalicabile della musica da classifica che, però, riserva grandi sorprese.
Buona fortuna ragazzi, noi siamo con voi!
Ilario Luisetto
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