Lando Fiorini, il ricordo dell’artista-simbolo della canzone romana

Lando Fiorini

A otto anni dalla scomparsa del cantore trasteverino Lando Fiorini, ricordiamo la voce popolare che ha trasformato la romanità in musica, teatro e passione

Nel giorno dell’ottavo anniversario della sua scomparsa, avvenuta il 9 dicembre 2017, la Capitale e l’Italia intera ricordano Lando Fiorini, l’artista che più di ogni altro ha saputo dare voce, corpo e sentimento alla canzone romana. Un interprete unico, capace di attraversare teatro, musica, televisione e costume con il suo timbro caldo e la sua ironia verace.

Leopoldo “Lando” Fiorini nacque nel 1938 in una famiglia numerosa del rione Trastevere. Ultimo di otto figli, con un padre facchino ai Mercati Generali e un’Italia ancora ferita dal dopoguerra, visse un’infanzia modesta e complicata. Da ragazzino fu affidato dai genitori a una famiglia di Modena, i coniugi Montanari, che si presero cura di lui per alcuni anni. Tornato a Roma, e colpito dalla perdita della madre a soli 14 anni, Lando affrontò la vita lavorando come barbiere, riparatore di biciclette, facchino ai Mercati generali.

Proprio tra le casse e i camion di via Ostiense nacque la sua vocazione: cantare. Non perdeva occasione per intonare stornelli e melodie popolari. Da quella spontaneità presero forma i primi provini e l’idea di una carriera artistica. Il grande salto arrivò nei primi anni Sessanta. Nel 1962 partecipò al Cantagiro, riscuotendo un successo che aprì per lui le porte del Teatro Sistina. È lì che Pietro Garinei, intuendo il suo talento naturale, gli affidò il ruolo del Serenante in Rugantino, caposaldo della commedia musicale italiana. Il personaggio, il cantastorie che intona “Ciumachella de Trastevere”, diventerà uno dei punti fermi della sua carriera e della sua identità artistica.

Negli anni Settanta, Lando Fiorini consolidò la sua fama. Nel 1973 tornò a Canzonissima con “Cento campane“, brano destinato a diventare iconico anche come sigla dello sceneggiato televisivo Il segno del comando. L’anno successivo arrivò in finale a Un disco per l’estate con “Er monno“, e in Canzonissima raggiunse un risultato storico: nel girone folk, con “Barcarolo romano“, ottenne 300 voti, il punteggio più alto mai registrato dalla giuria del programma. Una vittoria che, per motivi rimasti oscuri, non si trasformò in trionfo ufficiale, ma che i giornali dell’epoca riconobbero come “vittoria morale”.

Nel 1975 partecipò nuovamente a Un disco per l’estate con “So’ stato er primo a fatte dì de sì”, e nel 1994 prese parte al Festival di Sanremo come membro della Squadra Italia, interpretando “Una vecchia canzone italiana“.

Parallelamente alla carriera artistica, Fiorini costruì un’altra parte fondamentale della sua eredità: il Puff, storico locale aperto nel 1968 in via dei Salumi a Trastevere. Non solo un cabaret, ma un vero laboratorio della comicità e della musica romana. Dal suo palco sono passati attori e comici destinati a diventare pilastri dello spettacolo italiano: Enrico Montesano, Lino Banfi, Leo Gullotta, D’Angelo, Oreste Lionello, Gianfranco D’Angelo, Enrico Mattioli. Il Puff fu, per decenni, un luogo d’incontro tra la tradizione popolare romanesca e la nuova scena artistica.

Il ricordo di Lando Fiorini, la voce di Roma

Romano e romanista appassionato, Lando Fiorini rimase sempre legato alla canzone romanesca, che interpretò con orgoglio, fedeltà e un sentimento mai retorico. La sua voce, capace di passare dallo stornello alla ballata più malinconica, restituiva l’essenza di una città fatta di vicoli, di umanità vivace, di malinconia e ironia.

Si spense a Roma la sera del 9 dicembre 2017, all’età di 79 anni. Oggi, a otto anni dalla scomparsa, il suo nome continua a vivere: nelle sue interpretazioni, nelle registrazioni e nel cuore dei romani che in lui hanno sempre riconosciuto un fratello, un vicino di casa, uno che “la sapeva raccontare”.

Lando Fiorini rimane un simbolo di Roma perché ne ha saputo incarnare l’anima. Un’anima fatta di sorriso, malinconia, ironia e verità. Un patrimonio che continua a risuonare, come quelle cento campane che ancora oggi, a distanza di anni, sembrano chiamare per nome il loro cantante.

Scritto da Alessandra Locatelli
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