A tu per tu con Lazza in occasione dell’uscita di “Locura”, il rapper milanese si racconta in questa nostra intervista, svelando i retroscena dietro la realizzazione del suo quarto album in studio
L’attesa è finita, Lazza torna sulla scena discografica con “Locura”, lavoro che arriva a due anni di distanza dal precedente album dei record “Sirio“. In questa nostra intervista, l’artista racconta la genesi di questo progetto nato in giro per il mondo, tra gli studi di Miami, Los Angeles e Parigi.
Diciotto tracce in scaletta e otto ospiti, tra cui spiccano le presenze di Laura Pausini, Sfera Ebbasta, Marracash, Ghali, Lil Baby, Artie 5ive, Guè e Kid Yugi. Un disco variegato e che si rivolge a tutti, mettendo in luce le varie anime del rapper classe 1994, al secolo Jacopo Lazzarini. Scopriamone di più con il diretto interessato.
“Locura” è finalmente fuori, quali stati d’animo accompagnano questa uscita?
«Soddisfazione e orgoglio, perché credo di aver fatto del mio meglio e di aver realizzato un album che ha delle cose da dire. Avevo la necessità di scrivere un disco che parlasse alle persone, dove all’interno si possono trovare sia episodi di “spacconeria”, passatemi il termine, che pezzi più universali come “100 messaggi”. Ci tengo a ringraziare i miei fan che hanno comprato a scatola chiusa i biglietti per i live senza sapere cosa aspettarsi da questo progetto, visto che più della metà delle date del tour sono tutte sold out e oramai mancano pochissimi biglietti per riempire quelle che mancano».
Ascoltando e osservando il disco si ha la percezione che tu abbia curato ogni dettaglio, artwork compreso. Un po’ come per i precedenti lavori, realizzati come dei veri e proprio concept, a dispetto di chi oggi considera i dischi come delle semplici playlist di canzoni. Ci tieni in egual misura sia al contenuto che al modo di confezionarlo?
«Ci tengo a fare le cose fatte bene. Mi piace che si percepisca una certa qualità, è il mio modo per cercare di differenziarmi. In giro vedo e sento tante cose che magari sono belle, perché hanno degli spunti interessanti, ma magari il risultato è semplicemente migliorabile. Con questo non voglio assolutamente dire che la mia roba sia migliore, diciamo che provo a far sì che possa ritenermi io stesso soddisfatto di ciò che faccio. Poi sta al pubblico dirlo. Il mio cercare di differenziarmi sta proprio in questo, nel prendermi cura di ogni singolo aspetto. Giuro di essere stato sempre così, sin da bambino, se non sento che per me una cosa è bella… non riesco a darmi pace, al punto che non mangio e non dormo finché il risultato non è come dico io».
L’ascolto si chiude con “Dolcevita”, un brano a cui sei molto affezionato. Ci racconti qualcosa in più su questo pezzo?
«È la traccia preferita di mio padre e, ritenendomi una persona abbastanza scaramantica, ho deciso di metterla alla fine del disco perché, nel mio precedente album “Sirio”, avevo messo per ultimo “Replay”, che era anch’esso il pezzo preferito di mio papà. Ho pensato che mi portasse bene. In tutta onestà, “Dolcevita” è un brano che non riuscivo a chiudere, per cui ho dovuto lavorarci davvero tanto, soprattutto sulla seconda strofa che, a furia di metterci mano, è venuta fuori esattamente come la volevo. E devo ammettere che, alla fine, mi ha convinto. Una volta chiuso il pezzo, con il mio team, ci siamo alzati tutti in piedi, fieri del risultato».
Ci sono state altre tracce difficili da chiudere?
«Penso a “Canzone d’odio”, anche in quel caso avevo riscritto più volte la seconda strofa, ma non mi piaceva. Così ho pensato di proporla a Lil Baby, rapper statunitense che stimo moltissimo, nonché punto fermo dei miei ascolti».
Sbaglio o una cosa analoga è accaduta anche con il featuring con Laura Pausini?
«L’intro di “Zeri in più” l’avrò riaperto almeno cinque o sei volte. A livello creativo siamo partiti dall’idea di un sample di “Una locura”, brano del cantautore spagnolo José Luis Perales. L’abbiamo campionato e poi mi sono detto: “cavolo, ma con tutto il rispetto per le voci originali, io sono italiano e sto uscendo con un disco che comunque la gente credo stia aspettando, che me ne faccio di un album che si apre con una topline in spagnolo?”. Allora con la mia squadra abbiamo pensato che c’era bisogno di un’interpretazione forte… e chi meglio di Laura Pausini? Di fatto “Locura” si apre con la sua voce e di questo ne sono orgoglioso, anche perché si tratta della prima volta che Laura si mette in gioco con questo genere».
Quali obiettivi ti poni con l’uscita di questo nuovo progetto?
«Far conoscere anche Jacopo e non solo Lazza. All’interno dell’album ci sono tanti miei pensieri personali, sin dalla scelta del titolo, che per me è il modo ideale per descrivere la fama. Come in tutte le cose, anche nel successo ci sono sia i pro che i contro. “Locura” è casualmente un termine che avevo utilizzato anche nei miei dischi precedenti, mi suonava bene come titolo di questo concept. Oggi mi sento realizzato come persona, mentre come artista, essendo molto ambizioso, credo che non potrò mai sentirmi completamente soddisfatto. Anzi, a dirla tutta, sono da poco rientrato in studio per buttare giù nuove idee… sono fatto così: quando esce A, io sto già pensando a B e C. Fa parte del mio carattere non mettermi mai in competizione, se non con me stesso. Cerco sempre di superarmi, ma non parlo di numeri, perché i numeri alla fine sono numeri. Quello che mi importa è riuscire a poter fare meglio di prima a livello di percezione».
I numeri saranno pure numeri, però sono anche relativi… nel senso che ci indicano qualcosa. Ad esempio, anche se non hai vinto Sanremo nel 2023, “Cenere” è ad oggi il pezzo più certificato della storia del Festival, con ben nove dischi di platino ha superato di recente anche “Brividi”, a quota otto, un brano che la rassegna se l’era aggiudicata dodici mesi prima. Questo dimostra che la vittoria può arrivare anche nella lunga distanza, non credi?
«La vittoria per me è riuscire a fare della musica bella e che resti nel tempo, e “Cenere” è un pezzo che effettivamente sta durando… anche se francamente ce l’ho fuori dalle orecchie… perché l’ho sentito in tutte le salse e cantato da chiunque, persino con l’ausilio dell’intelligenza artificiale anche da Gerry Scotti!!! Sono consapevole del fatto che una parte del pubblico mi associ a questo pezzo, perché è come se mi avesse lanciato nello spazio. Da una parte lo ammetto, un po’ la soffro come cosa, ma al contempo sono felice. Quello che ho imparato sulla mia pelle è che quando arrivi a sentire addirittura la parodia di una tua canzone, vuol dire che ormai è diventata una hit!».
Nico Donvito
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