A tu per tu con il giovane cantautore napoletano, reduce dalla partecipazione ad “Amici” e dall’uscita dell’omonimo EP d’esordio
A un anno e mezzo di distanza dalla nostra precedente chiacchierata, ritroviamo con piacere Luca D’Alessio, meglio conosciuto con lo pseudonimo LDA, artista classe 2003 che abbiamo imparato a conoscere nel corso della ventunesima edizione di “Amici” di Maria De Filippi. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’ultima del suo primo progetto discografico, rilasciato lo scorso 13 maggio da Columbia Records Italy / Sony Music Italy, per approfondire la sua ispirata visione di vita e di musica.
Ciao Luca, bentrovato. A proposito del tuo omonimo EP, cosa rappresenta per te questo biglietto da visita discografico?
«Questo album parla proprio di me e di una storia d’amore che ha tante sfumature. Alla fine si tratta di una raccolta di sette pezzi già editi, presentati nel corso della mia partecipazione ad “Amici”. Sono brani che mi descrivono, nati tutti in modo molto naturale, semplice e spontaneo. La scrittura è terapeutica perché aiuta a sfogarti, a farti crescere, a porti delle domande e a migliorarti, proprio come la lettura. E’ come se ti rifugiassi in un tuo mondo e ti distraessi dalla realtà».
A livello musicale, che tipo di lavoro c’è stato dietro la ricerca del sound?
«Ho avuto il piacere e l’onore di lavorare con tre grandissimi produttori: ZEF, Michele Canova e D.Whale sono tre assoluti professionisti, dei maestri. Con loro mi sono trovato molto bene, abbiamo sperimentato varie cose, girando attorno a tre generi precisi: il pop, qualche sfumatura di R’n’B e le melodie più tradizionali che si avvicinano molto alla mia terra. Sono canzoni che in qualche modo mi fanno tuffare nel mare della mia Napoli, quanto le canto e chiudo gli occhi vedo il Vesuvio (sorride, ndr). Suoni e immagini che, comunque, fanno parte di me e del mio vissuto».
Parlando del tuo percorso ad “Amici“, quali skills pensi di aver affinato durante la tua permanenza nella scuola?
«Sicuramente la tecnica, perché mi sono ritrovato a lavorare con vocal coach spettacolari, in più ho iniziato a suonare il pianoforte. Poi ho imparato a stare sul palco, cosa non da poco. Quando sono entrato ero un pezzo di legno, mentre adesso riesco a sciogliermi e a muovermi un po’ di più. Inoltre, abbiamo lavorato parecchio anche sull’interpretazione, perché “Amici” è una scuola a tutto tondo, la migliore in Italia per quanto riguarda la musica e il tipo di percorso che voglio intraprendere».
C’è un aspetto in particolare che ti rende orgoglioso di questa esperienza di vita e di musica?
«Sono orgoglioso di me come persona, per il ragazzo che sono stato e per quello che sono diventato. In questi mesi sono cresciuto e maturato tantissimo, sia musicalmente che umanamente. Di questo devo ringraziare tutti, dai miei compagni di viaggio a Maria, Rudy, la produzione. Una vera e propria famiglia».
Dalle tue parole sembra che sia più forte la soddisfazione del percorso realizzato che l’amarezza dell’aver sfiorato il traguardo, no?
«Sì, perché alla fine si tratta di un gioco, solo una persona vince. Poi, fortunatamente, sta andando tutto molto bene, avverto l’affetto di tante persone che non mi non stanno facendo mancare nulla. Quindi perché dovrei starci male? (sorride, ndr)».
Con quali compagni di avventura hai legato maggiormente all’interno della scuola? C’è qualcuno con cui credi di poter portare avanti un legame di amicizia?
«Guarda, mi sento di dire con tutti. In modo particolare con Albe, Luigi, Alex, Carola, Nunzio e Serena».
Un ruolo importante in questo tuo percorso nel talent lo ha avuto il pubblico, che ti ha compreso e supportato in tutte le fasi del programma. Quanto è importante per un artista giovane come te il sostegno da parte della gente?
«E’ fondamentale perché è come la benzina: noi cantanti siamo delle macchine e i nostri fan sono il carburante che ci consente di andare avanti. E’ stato bello toccare con mano e realizzare che quello che stavo facendo poteva servire sia a me che agli altri. Questa è la cosa più bella per un artista, tramite la musica riuscire ad aiutare qualcuno a stare meglio».
Tra gli obiettivi futuri, c’è la volontà di partecipare al Festival di Sanremo? Quello dell’Ariston è un palco particolarmente caro e in qualche modo “di famiglia”, ma pensi sia altrettanto adatto al tipo di musica che proponi?
«Sicuramente sarebbe un onore, onestamente non so se avrei il coraggio di salire su un palco così prestigioso, ma in certe circostanze la spinta si trova. Mi sono anche convinto del fatto che la mia sia una musica adatta a quel tipo di contesto. Quindi, magari, chissà».
Per concludere, quali elementi e quali caratteristiche ti rendono orgoglioso di questo tuo primo album?
«Principalmente mi rende orgoglioso il fatto di aver parlato di me, della storia che mi ha segnato tantissimo. Sono soddisfatto di essere riuscito a realizzare tutto questo, con l’aiuto dei produttori, a soli diciannove anni… e questo non è affatto scontato!».
© foto di Cosimo Buccolieri
Nico Donvito
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