giovedì, Marzo 28, 2024

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Le canzoni sulle rivoluzioni: “modi” per un mondo nuovo

Tutte le canzoni che cantano delle rivoluzioni

‘Alt, Rivoluzione in corso!’ Apriamo quest’articolo con una formula che ci obbliga a fermarci e, nel nostro caso, a fare delle riflessioni. Cos’è una rivoluzione? Da un punto di vista tecnico, si usa questo termine in riferimento a eventi politici, ma anche culturali e tecnologici o, meglio, scientifici, nel senso più ampio del termine. La rivoluzione è una tematica affrontata anche nei testi di musica pop tanto per cantare fatti ed eventi storici, quanto come metafora; come una grande cornice in cui trovano spazio declinazioni di realtà finali, certamente, diverse da quelle di partenza. Ogni rivoluzione è, innanzitutto, tentativo di cambiamento. Come diventa la vita quando abbiamo la sensazione di partecipare a un cambiamento? Quando ci sentiamo ‘dentro le cose’ che vogliamo diverse, magari nuove, e che possiamo realizzare attuando, appunto, una rivoluzione? Proviamo ad andare per gradi e rispondere a queste domande.

Se ci sono canzoni che parlano di rivoluzioni nella storia, trattando l’argomento nel senso più tecnico, come Franco Battiato quando racconta del padre camionista in Africa Orientale al tempo del colonialismo fascista, “quell’autista in Abissinia Guidava il camion fino a tardi” e ricorda la seconda guerra mondiale “a quel tempo in Europa C’era un’altra guerra, e per canzoni Solo sirene d’allarme”. L’elemento biografico e quello storico collettivo s’intrecciano per dare risalto alla narrazione interiore nel punto in cui si legge, “passa il tempo Sembra che non cambi niente Questa mia generazione Vuole nuovi valori E ho già sentito Aria di rivoluzione Ho già sentito gridare Chi andrà alla fucilazione”.

Se, nel testo, il combattimento è in corso e bisogna lottare per la sopravvivenza, nonostante sogni e desideri continuino a lavorare segretamente, ci sono altre canzoni che descrivono gli effetti della rivoluzione nel tempo: per esempio, Caparezza sui movimenti di protesta sessuale del Sessantotto italiano denuncia la deriva pornografica in cui sono naufragati oggi che “le rivoluzioni sono scomparse Vedo in giro solo foto pornazze Quanti credono nel ’68 E quanti vedono del sesso in tutto? Eh (…) Il sessantotto è un interrogativo Ma il numero successivo, ti resta nella testa! I fricchettoni vollero cambiare il mondo Quelli del mio mondo vogliono guardare i porno”.

Le parole diventano pietre e fanno male, ma allo stesso modo liberano dalle gabbie del mondo. Come negli Almamegretta, che “vorrei chiedere a colui che governa la pace e la guerra sulla terra tra l’umanità quanti anni ancora da passare prima che quest’uomo si possa riposare troppo sangue scorre ancora per le strade troppi uomini ancora imprigionati troppi uomini ancora incatenati al ritmo del lavoro e del sudore sole quando sorgerai su di me su di noi?” Il sole rappresenta la “voce di chi non ha parlato mai (…) un soldato che butta le armi e chiede pace (…) un prigioniero che vuole libertà”, ma soprattutto “una rivoluzione di pace e di amore (…) come la pioggia nella siccità (…) l’urlo di chi non ha mai avuto voce e non vuole restare nell’oscurità”.

Ogni rivoluzione, in sostanza, ha i suoi simboli di contraddistinzione e trasforma ciò che siamo in qualcosa di nuovo, ma perché questo avvenga è necessario cominciare a cambiare la concezione di noi stessi. Lo impariamo da Marco Ancona con Francesca Romana “lascia stare la tua bella perfezione cosa te ne fai lo vedi non ti serve più ha inizio la rivoluzione”, magari confortati da chi amiamo, “mentre tu decidi tutto io ti aspetto”, ma pronti ad andare fino in fondo anche quando l’amore dovesse portare sofferenza. Ce lo dice Alex Baroni “amore, mi dovrà passare Per restare libero, cambiare (…) Combatterò con le mie notti bianche, (…) devo ricominciare a inventare me”.

Elemento fondamentale, quel me stesso da accogliere ed accettare nel cambiamento, anche fisico, come ricorda Giovanni Caccamo nel testo-esortazione, “vivi nel tuo corpo ruga dopo ruga La bellezza si trasforma Ma tu non ti condannare alle apparenze Perché siamo portatori di un messaggio Perché in fondo siamo solo di passaggio”. Nell’inquietudine di quanto non capiamo di noi, di quando sentiamo come un magma interiore che vuole esplodere, si trova il seme della rivoluzione: è nella parte più profonda che si genera la scintilla di un viaggio nuovo, verso nuovi obiettivi da raggiungere e prospettive di rottura con il passato. Cominciare a interrogarsi su quello che viviamo, sui sentimenti che proviamo è la via per rispondere all’esigenza di cambiamento: “dove siamo rimasti? Cosa abbiamo perduto? Nella fretta del tempo Nel potere del nulla Il valore di un pianto Il respiro profondo delle piccole cose Non saremo distanti dai bisogni del mondo Perché nessuno si salva da solo È il momento di trovare un equilibrio Di affrontare con coraggio il cambiamento la mattina dopo”.

Soltanto così, potremmo avere uno sguardo più ampio sulle situazioni e affermare con Samuele Bersani, “se non ti spaventerai con le mie paure Un giorno che mi dirai le tue Troveremo il modo di rimuoverle In due si può lottare come dei giganti contro ogni dolore E su di me puoi contare per una rivoluzione” perché “tu hai l’anima che io vorrei avere”.  La sofferenza amorosa, come quella sociale, nascono perché ci sentiamo introdotti in un sistema di regole e di schemi comportamentali che ci dicono sempre come dobbiamo essere, cosa dobbiamo fare e come dobbiamo vivere, ma esistono anche altri modi, nuove strade da percorrere, anche se il dubbio o il fallimento di ogni rivoluzione è sempre dietro l’angolo. Lo ha ben presente Levante quando si chiede “questo è il futuro che sognavi per te? Credevi fosse più lontano, eh? Ti senti fuori tempo limite, contro ogni previsione Hai perso il desiderio della rivoluzione”; oppure Enrico Ruggeri quando canta “siamo la rivoluzione da sempre sognata Quello che avremmo tanto voluto così desiderata Vincitori di un grande girone e poi sconfitti in finale”.

Accade, però, che le rivoluzioni abbiano anche un lieto fine; per esempio, Rocco Hunt canta la sua emancipazione dalla periferia senza aggiungere altre illusioni: “vulesse credere ancora Chelli frasi d’ammore scritte ‘nfaccia ‘O mur sott a casa soje Credere ancor ch’esiste chi parla ‘E fa ‘a rivoluzione Ognuno ‘a vita da soje Nasce e muore da solo, ‘na pistola ‘e parole spare ‘a verità”. Un messaggio forte e chiaro, di chi ‘ce l’ha fatta’ a migliorare il proprio status di partenza con impegno e sacrificio e che ora vuole condividere sul palco insieme a chi ama la sua musica. In fondo, è una rivoluzione apparentemente semplice quella a cui aspirano molte persone, non per questo meno faticosa, insidiata com’è dai continui paragoni a cui ci sottopone una società insanamente competitiva e performativa.

La scrittura di Francesco Gabbani è poeticamente schietta da questo punto di vista, “e detto questo che cosa ci resta Dopo una vita al centro della festa? Protagonisti e numeri uno Invidiabili da tutti e indispensabili a nessuno Madre che dice del padre “Avrei voluto solo realizzare Il mio ideale, una vita normale” Ma l’amore di normale non ha neanche le parole Parlano di pace e fanno la rivoluzione Dittatori in testa e partigiani dentro al cuore Non c’è soluzione che non sia l’accettazione Di lasciarsi abbandonati all’emozione” e comprendere che la vita spesso impone di guardarla ‘viceversa’.

Cerchiamo, a questo punto, di rispondere al quesito iniziale e di capire quale sia il potere rivoluzionario di un testo pop. Ci viene incontro Jovanotti, a farsi partovoce di una verità col suo “che bello è quando c’è tanta gente E la musica, la musica ci fa star bene È una libidine E una rivoluzione Quando ci si può parlare con una canzone”. Nel testo sono presenti gli elementi necessari per attivare qualsiasi rivoluzione, piccola o grande che sia: la gente e un messaggio preciso da veicolare attraverso quello che, per noi, resta il mezzo più alto, umano e dignitoso in ogni sfida: il dialogo.

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Francesco Penta

Appassionato della parola in tutte le sue forme; prediligo, in particolar modo, la poesia a schema metrico libero. Strizzo l'occhio all'ironico, all'onirico e al bizzarro. Insieme alla musica sia la parola. Dopo la musica si ascolti il silenzio; da questo "vuoto sonoro" nasca un nuovo concerto.
Francesco Penta
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