Intervista al rapper catanese che ha da poco pubblicato il suo nuovo progetto “Milord”
Lo scorso 25 febbraio è uscito “Milord”, il nuovo progetto discografico del rapper catanese L’Elfo. Sette video-episodi conclusi con pubblicazione di “Social”, l’ultimo tassello che completa quest’opera inedita dell’artista che sceglie di raccontarsi in una maniera inedita e intima. La sperimentazione, sia musicale che a livello testuale, è il minimo comune denominatore di questo progetto che cambia decisamente rotta rispetto al passato. L’amore che, allo stesso modo della musica, viene visto dal rapper come “luce e buio, condanna e speranza”, rappresenta il fulcro, l’epicentro di questo racconto. Ecco quello che ci ha raccontato L’Elfo nel corso di un’interessante chiacchierata.
Ciao Luca e bentrovato, cominciamo proprio da “Milord”: un lavoro molto intimo e particolare.
«Non posso non iniziare dicendo che sono molto soddisfatto del risultato finale. Con questo lavoro mi sono aperto al pubblico in un modo inedito per quanto riguarda la mia discografia, scavando come non avevo mai fatto. È vero, già in passato ho proposto questa parte di me, ma mai con un intero progetto. Nella mia carriera ho sempre voluto sperimentare. In questo caso ci tengo particolarmente perché credo fermamente nel concept che è uscito man mano scrivendo le tracce. Per quanto riguarda il sound, devo ringraziare soprattutto Angio e ERRE, i due produttori che hanno lavorato con me, permettendomi di proporre un lavoro così innovativo. Il titolo è un richiamo al gentiluomo più famoso degli anime giapponesi, da sempre al fianco di Sailor Moon, nel quale mi immedesimo».
Quanto è stato utile buttare fuori tutto quello che hai scritto nelle rime di queste tracce? O quanto difficile?
«Sono sincero, quando scrivo questo tipo di canzoni, con un determinato tipo di tematiche, non mi sento mai a disagio. Credo che il vero scopo di un artista, alla fine, sia quello di ‘rompere il cuore’, arrivando in maniera forte. La musica vera è quella che ti fa male dentro. Questo non vuol dire che non ci debba essere anche il pezzo più leggero, o street… però poi ciò rimane davvero è quello che ti ha emozionato».
In “Fragili”, uno dei pezzi più sentiti e riusciti del progetto, scrivi: “io non sono il solito ragazzo malinconico, che crede ciò sia un gioco”. Questo è un pregio o un impedimento?
«Sono sempre stato un bambino un po’ particolare. Non ho problemi a dire che ho ricevuto supporto psicologico. Ho vissuto varie esperienze che mi hanno fatto crescere in fretta, ma allo stesso tempo un po’ male, con un pensiero distorto del vivere e delle relazioni. Quella frase significa che se dico certe cose non è per moda o per fare quello strano, ma perchè è realmente così, da sempre. Se non avessi conosciuto il mondo dell’hip-hop, e quindi la musica, non so che fine avrei fatto. L’unica cosa che mi ha aiutato è stato il pensiero di fare musica. Poterla fare stando nella mia terra [la Sicilia, ndr] è ancora più bello».
In effetti tu sei rimasto a Catania con e nonostante la musica. Come mai questa scelta?
«Mi sento un vero e proprio miracolo. Nessuno avrebbe mai scommesso, rimanendo qui, un tale rumore della mia musica. Io sono scoppiato con ‘Sangue catanese’, un vero e proprio inno street. Stare qui non è sempre stato facile, praticamente sono partito da zero in un ambiente dove il rap non esisteva. Mettevo un cappellino da rapper e la gente mi vedeva come quello diverso. Mi sono dovuto scontrare spesso con una mentalità chiusa, ma questo mi ha anche aiutato: se oggi sono così è anche grazie a questo. Sarei dovuto partire alla ceca verso Milano per cosa? Un sogno di gloria? A me non interessa baciare il sedere di qualcuno con più follower di me. Non voglio scendere a compromessi per la mia musica. Io, alla fine dei conti, reputo il mio restare qui il vero punto di forza. La gente mi vede ancora qua e non ci crede, ma io non mi muovo».
Oggi l’ambiente rap catanese è prolifico?
«Super prolifico e questo non può che farmi piacere. Pensare di essere stato, in qualche modo, l’incipit di questo movimento mi carica. C’è pieno di ragazzi volenterosi e capaci. L’unico difetto che vedo spesso in giro è la mancanza di originalità, si tende sempre a cercare di emulare qualcos’altro che funziona».
Al netto di questo, come sta oggi secondo te il rap italiano? Anche se parlando di rap in senso stretto, ora come ora, probabilmente se ne vede meno.
«Il rap sta bene, ieri come oggi. Credo che l’evoluzione faccia parte dell’essere umano. Io sono cresciuto con artisti che sono rimasti sulla cresta dell’onda per anni e oggi ancora dominano le classifiche. Fabri Fibra, Marracash, Guè Pequeno… tutta gente che riesce a mantenere street credibility, ma che allo stesso tempo è credibile anche cambiando forma. Guarda Marracash: spazia tra generi, ma rimane una delle penne più raffinate d’Italia».
Tornando a “Milord”, è un progetto che rappresenta una sterzata anche dal punto di vista del suond. Come mai?
«Nell’ultimo periodo ho ascoltato meno roba della scena attuale, lo ammetto. In questo progetto ho voluto sperimentare dal quel punto di vista e sicuramente si sentono le mie ispirazioni e i miei ascolti, rielaborati in veste personale. Li cito sempre ma per me due artisti come Lil Peep e XXXTENCTACION sono stati fondamentali. Musica unica, potente. Questo filone emo-trap mi piace moltissimo. Personalmente trovo questo progetto il punto di incontro tra underground, mainstream e musica “vera”».
Tra l’altro hai pubblicato questo progetto a episodi, come fosse una serie tv…
«Si è vero. Mi piaceva l’idea di pubblicare man mano un nuovo episodio, proprio come nelle serie tv, un mondo che mi affascina molto. Ho pensato “perchè non uscire con un episodio alla volta, come fosse una serie?” Tra l’altro questa idea si lega ai concept dei videoclip girati da Graziano Piazza. Considero questo progetto come una sorta di autobiografia, un modo per esorcizzare i miei problemi».
Il tuo pubblico come ha accolto questo cambiamento?
«Alcuni fan più affezionati al mio lato più arrogante hanno probabilmente storto il naso, ma lo considero normale. Credo però che col tempo questo tipo di progetto verrà recepito e capito anche da loro. Tante persone mi hanno ringraziato per essermi aperto così, apprezzando il mio lato più conscious. Per tanti io sono quello di ‘Sangue catanese’, ma sono sicuro che tra due anni mi verranno a scrivere sotto i video “non sei più quello di Milord”. Ho un pubblico che considero affezionato, tanta gente che mi segue perché davvero è fan della mia musica e questo mi gratifica».
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