Il maestro è andato via: adesso tocca a noi salvare il senso della sua arte
Franco Battiato non amava particolarmente l’America e l’americanismo, le fotografie, i piedistalli, i dibattiti politici. Non è stato abbastanza fortunato da sopravvivere a questi anni di ambizioni sfrenate nel nome dell’egoismo e della materia più becera. Anni in cui l’essere umano ha colmato i suoi vuoti esistenziali con soluzioni improvvisate e quasi sempre dannose. In questi tempi materiali e razionali, Franco Battiato ha osato rivelare una verità scomoda, cantandola fra le righe o stampandola nella mente dei suoi ascoltatori in modo nitido e inequivocabile: la nostra realtà non esiste.
Quasi una bestemmia, per il mondo dell’uomo che si è autoproclamato dio e padrone del mondo, con risultati sotto gli occhi di tutti. L’uomo ha scelto di imporre la sua fisicità, eppure Battiato ci spiega che i nostri corpi sono mezzi per far evolvere l’anima. Siamo immagini stampate nella mente di Dio, in ostaggio delle percezioni sensoriali e per questo apparentemente incapaci di tornare alla nostra missione. Battiato ci provava attraverso una vita di studi sull’interiorità e uno stile di vita contemplativo, tutt’altro che mondano. La sua è stata una resistenza al mondo di plastica dello spettacolo in cui era inevitabilmente immerso a partire dal 1981, anno in cui il suo pop metafisico raggiunse le orecchie di tutti, e il suo profilo divenne, suo malgrado, popolare tanto quanto le composizioni abilmente orchestrate.
Come molti della sua generazione, il Maestro di Milo si è addentrato nel mondo della spiritualità attraverso l’esotismo dell’India. Ma se i Beatles hanno ottenuto dalla meditazione trascendentale solo il germe che ha portato allo scioglimento, e tanti altri hanno preferito inseguire la mistica di facciata delle dottrine che contemplavano droghe e allucinogeni, tornando sui panfili dorati appena finita la moda, Battiato ha proseguito nella sua ricerca. Dall’esoterismo indù al monachesimo tibetano, fino alla filosofia di Gurdjieff (quella che contempla i famosi dervisci rotanti) e ai maestri della fede occidentale… Nel suo ultimo brano, “Torneremo ancora“, scritto a quattro mani con Juri Camisasca, monaco benedettino ritiratosi in eremitaggio sull’Etna, parla di vita e di morte come di un ciclo eterno sul modello della dimensione onirica:
La vita non finisce
È come il sogno
La nascita è come il risveglio
La speranza è che ora Battiato possa raccogliere quanto ha raccolto in una vita intera. L’augurio è che possa viaggiare verso la luce eterna con una consapevolezza sconosciuta a chi vive immagazzinando emozioni da rielaborare in azioni. Ora sta a noi raccogliere non solo la sua eredità artistica, che già ha conquistato il suo spicchio di immortalità terrena, ma anche il mondo che sta dietro, o meglio, dentro alla sua musica.
Ricordare e apprezzare il maestro per la sua arte senza raccogliere l’invito ad evadere dagli schemi imposti dalla società del consumo (anche e soprattutto di noi stessi) è ammirare un corpo per la sua forma senza capirne il miracolo che regola l’armonia dell’essere. Battiato è una candela che fa luce sui mondi che non vogliamo vedere perché presi da mille altre cose. Chissà che seguendo la sua voce, almeno noi possiamo riuscire nell’impresa sfuggita al Maestro: sopravvivere all’era della materia compulsiva e delle mode feroci, imponendo davvero le nostre anime sopra tutto quello che si può comprare. E capire che quei mondi erano lontanissimi sì, ma per nostra scelta, e che per raggiungerli è necessario innanzitutto aprire gli occhi e vivere.
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