Un libro, una canzone: insieme
“Uno di quei libri che appena li chiudi, continui lo stesso a leggere. Negli oggetti che hai attorno, nella luce soffusa della tua lampadina, nel suono dolce dei canarini. Una cosa che succede se si è un po’ pazzi, o se si legge Bajani per la prima volta”
“Il libro delle case” è costruito come un grosso vuoto. Non ci sono veri e propri dialoghi, non ci sono protagonisti in senso stretto della parola (i personaggi si chiamano IO, MADRE, FIGLIO e così via) e sembra essere tutta una lunga descrizione.
Ma così non è. Infatti questo grande vuoto è riempito dalla potenza narrativa della scrittura di Bajani. Siamo dentro un’oscurità indefinita e le sue parole sgorgano fuori come luce da una torcia, andandosi a scontrare e a delimitare i bordi degli oggetti, dei muri e della geometria intorno a noi.
E allora in questi brevi capitoli, Bajani disegna una traiettoria nella quale orientarsi, costruisce una casa che possiamo abitare, con un’abilità straordinaria che rende la sua penna mai banale e semplice nella sua complessità.
Unendo tutte queste linee, scorgiamo, di riflesso, una storia. Un racconto che passa in molte case, a volte costruite con mattoni, altre volte solo nella testa dei personaggi, a volte nascoste sotto il guscio di un’animale, ma sempre accompagnata da quella storia con la S maiuscola che è la storia del nostro paese, con le sue disgrazie, le sue contraddizioni e le sue meraviglie.
Si va avanti e indietro nel tempo. Si abitano posti che sono macchine, e altre che sono semplici desideri. In questo modo Bajani riesce a centrare gli oggetti e lo spazio che abitiamo, nel loro cambiamento. Perché un letto matrimoniale parla di giovani sposi molto più di quanto lo possano fare le terapie di coppie, o talk show televisivi. Così come gli animali che vivono con noi, le finestre che apriamo, le stanze che scomodamente invadiamo per concederci le nostre spensierate oasi d’amore.
Nel mondo magico di Bajani si fa fatica a capire quale sia la nostra vera casa. Il nostro posto dove poterci sentire veramente in pace, veramente noi stessi. Un po’ come la canzone “La casa che non avremo mai” di Marte Marasco.
Ma probabilmente non c’è un posto fisso. La nostra casa è la somma di tutti i posti che abbiamo abitato, di tutti gli sguardi che abbiamo illuminato con una lacrima o con un sorriso, di tutti gli oggetti a cui abbiamo concesso una sacralità e una bellezza illogica e quindi squisitamente umana.
Riassumiamola in una frase: leggere “Il libro delle case” è un modo delizioso per perdersi e per tornare a casa.
Due cose che noi umani conosciamo molto bene. Altrimenti non ci verrebbe mai in mente una follia simile a quella di scrivere libri. O di leggerli.
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