Un Libro, Una Canzone: Insieme
Uno strano esperimento
Sapevo in fondo al cuore – e questa era forse l’unica cosa che sapevo in quel periodo – che se fossi riuscita a dormire abbastanza sarei stata bene. Mi sarei sentita rinata, nuova. […] La mia vita passata sarebbe stata solo un sogno, e avrei potuto ricominciare senza rimpianti, rafforzata dalla beatitudine e dalla serenità accumulata nel mio anno di riposo e oblio.
Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh è un romanzo composto da otto capitoli, per un totale di 231 pagine. La protagonista, il cui nome non viene mai svelato, dorme per tutte le 231 pagine. Il suo esperimento di “ibernazione narcotica”, intrapreso con la convinzione di uscirne dopo un anno esatto totalmente rigenerata, ha luogo nella New York dei primi anni Duemila, nell’Upper East Side di Manhattan. La protagonista è a tutti gli effetti una privilegiata: vive nell’agio grazie all’eredità che le hanno lasciato i genitori, è terribilmente bella senza fare alcuno sforzo per esserlo, è giovane e si è appena laureata alla Columbia University. Ha tutto quello che le serve per conquistare il proprio posto nel mondo. Ma lei vuole solamente dormire. Sempre. E lo farà per un anno intero, aiutata da un’impressionante quantità di farmaci e dalla psichiatra più folle e irresponsabile della storia.
Il passato e il presente
Quella narrata bel romanzo è la folle storia di una ragazza che soffre di depressione, che vive nel suo dolore con l’intento risorgere alla fine come una fenice. Il romanzo, narrato in prima persona dalla protagonista, segue il flusso di pensieri di quest’ultima durante tutto l’anno di riposo. È così che veniamo a sapere del suo infelice passato, i cui fantasmi pregiudicano irrimediabilmente anche il suo non meno infelice presente.
La morte dei genitori, del padre per un cancro e della madre per un mix letale di alcol e pasticche, viene ricordata tramite angoscianti flashback e cinici commenti da parte della protagonista, che si trova a dover affrontare il lutto per due persone che, in realtà, non pare si siano mai interessate granché a lei. A queste morti va aggiunta, come ulteriore elemento scatenante la depressione della protagonista, una relazione tossica con un uomo crudele e prevaricatore. Infine, se a questo passato già non esattamente roseo aggiungiamo anche un presente che non le dà nessuno strumento per reagire, una vita piuttosto vuota, una quotidianità all’insegna della superficialità, ecco che non è difficile capire il perché di questo singolare esperimento di oblio annuale.
La doppia funzione del sonno
Giunta all’elaborazione del proprio piano e al punto massimo di apatia raggiungibile, la nostra protagonista allontana tutti, anche Reva, la sua migliore amica, l’unica che cerca, a modo suo, con fastidiosa superficialità, di aiutarla. Il romanzo descrive tutto questo senza addolcire la pillola, sottolineando come la protagonista sia alle volte indifferente e assente, alle volte proprio meschina e crudele.
Reva riusciva a grattarmi in un punto che da sola non riuscivo a raggiungere. Guardarla prendere tutto ciò che era profondo e reale e doloroso e rovinarlo esprimendolo con una precisione così banale mi faceva pensare che Reva fosse un’idiota, e che quindi potevo trascurare il suo dolore, e con il suo anche il mio. Reva era come le pasticche che prendevo. Trasformavano tutto, persino l’odio, persino l’amore, in lanugine che potevo soffiare via.
Ecco dunque che le pasticche e l’oblio svolgono per la protagonista una doppia funzione. Sono sia l’anestetico che impedisce di provare il dolore di una vita tormentata, sia strumento di redenzione, il mezzo che la porterà verso una nuova identità, completamente diversa, purificata dalla vita precedente.
Fabio Concato in Guido piano canta:
E ho tanta voglia
Di sdraiarmi su questa terra così calda
Di dormire e di sognare che questo fiume
Lentamente mi porta tra i monti e le pianure
E mi culla come un bambino fino al mare
Amore mio, perché ogni volta scappo via
Siamo così lontani dai profumi e dalla vita
Forse t’incontrerò dove comincia il mare
Quando mi sveglierò sarò migliore
Anche se il contesto è totalmente diverso, nella prima strofa rivedo molto il primo significato che la protagonista dà alle pasticche, a Reva, al dormire: trasformano tutto, sentimenti belli e brutti, in lanugine che vola via. Ma l’ultimo verso della canzone ricorda anche il secondo fine con cui la ragazza intraprende il proprio anno di riposo: dopo di esso ha intenzione di svegliarsi e di rinascere migliore, senza ombre, senza mostri nell’armadio. Serena.
Il dolore non è l’unico banco di prova per crescere, mi dissi. Il sonno aveva funzionato. Mi sentivo morbida e calma e sentivo le cose. Era una bella sensazione. Questa era la mia vita adesso. […] Potevo andare avanti.
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