Un libro, una canzone: insieme
È strano come alcuni romanzi finiscano nelle menti e nelle mani di scrittori inaspettati. Delle idee che poco o nulla ci azzeccano con lo stile e il respiro che l’autore spesso marca nelle sue storie. Poi però, succede. Di colpo, senza che nessuno se ne fosse accorto più di tanto, Josè Saramago scrisse un libro che era e dovrebbe essere riconsegnato al suo reale inventore: Gianni Rodari. Il libro si chiama Racconto dell’isola sconosciuta, ed è un libro alla Gianni Rodari. Semplice, ironico e genuino. E come tutte le sue storie, dentro di esse, un mondo.
E invece lo ha scritto lui, Saramago. Uno scrittore criptico, sfuggevole, che non le finisce mai quelle frasi, mai un punto, sintattiche lunghissime dove è facile perdersi nei meandri rocciosi della grammatica latina. Ma non lo dico come critica. Anzi, tutti provano a fare quello che faceva lui, ma senza successo. Perché lui lo fa da Dio. Continua a varcare quella linea tra il discorso parlato e scritto, trovando scorciatoie e illuminazioni originali per entrambi.
Lui è un uomo che ha fatto parlare Dio come personaggio, e lo ha fatto in maniera assurda (l’ho detto che scrive da Dio), fa dei dialoghi pazzeschi ed esce continuamente da quel guscio pigro che ammorbida gli intellettuali e annoia noi giovani. Poi ha scritto questo libro. Un libro praticamente per bambini. È di poche pagine, in alcune edizioni qualche disegno. La storia è semplicissima. Un uomo prende una barca per cercare un’isola misteriosa. Punto. Niente cecità, niente Dio che parla, niente di niente. L’essenziale, come una storia per bambini.
Allora la cerchi di leggerla, un po’ per curiosità e un po’ per capire come mai alcuni autori si vogliono rovinare facendo cose che non sono nel loro. In quindici minuti lo finisci e rimani lì un po’ così. Non più dove eri prima, ma su quella barca, assieme all’uomo misterioso alla ricerca dell’isola sconosciuta.
Sei lì, ti volti e vedi una donna, la donna delle pulizie. Ti guarda, ed è innamorata di te. La guardi e ricambi il suo amore. Le onde si dileguano, la trama naviga via, una semplice ma raffinata descrizione della barca fa da musica a tutto quel panorama. Il resto è tenerezza. Tanta. Quella di trovarsi a cercare qualcosa che è un’isola ma che potrebbe essere un sentimento più grande, e il sapere di starlo cercando con l’unica persona che davvero vuoi affianco. Aspettandola, pensandola, navigando con lei. Come nella canzone “Navi” di Ivan Graziani.
Sarà che io sono un po’ sensibile di mio, sarà che a me le storie d’amore (quando scritte bene) mi fanno sempre un po’ piangere, però credo che ci siano poche cose più belle di questa: mettersi in viaggio con la persona giusta per cercare qualcosa. Chiamatela amicizia, chiamatela umanità. Chiamatela storiella per bambini, o sacra verità.
Però vien voglia di cercarla, quell’isola misteriosa. Nonostante le tempeste, nonostante le intemperie. Nonostante noi, isole sconosciute in ricerca di noi stesse.
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