venerdì 22 Novembre 2024

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Letteratura a 45 giri: Il ritorno del cavaliere oscuro – Frank Miller e Cesare Cremonini

Un libro, una canzone: insieme

L’ho trovato in una libreria di fumetti stupenda. E troppe persone stupende me l’avevano da tempo consigliato. E così l’ho preso.

Deludo subito tutti. Non è stupendo. E qui mi tocca fare subito una precisazione. È il primo fumetto “serio” che leggo nella mia vita. Il primo tentativo per capire come diamine sia possibile che i supereroi, con le loro tute improponibili, possano ancora essere largamente diffusi nell’immaginario popolare. Business da miliardi di dollari, che credete.

E questo è stato il mio primo errore. Già. Perché Batman, il pipistrello nero che vola nella notte per sconfiggere il crimine, non si può capire. O meglio, non si deve commettere lo sbaglio di volerlo capire. È un mondo che non c’entra nulla col nostro. Le emozioni sono slittate, i desideri sono montagne irraggiungibili in una pagina, e già vecchi ricordi sorvolati nell’altra. Non si può arrivare con la logica, con Batman. E credo neanche con gli altri supereroi, anche se non ho esperienza in materia. La notte non è la nostra notte. Il crimine non è il nostro crimine. Sono personaggi macchiette che lottano costantemente per uscire fuori dai loro rigidi schemi. Non sempre ce la fanno, ma quando succede, ragazzi che figata. Faccio degli esempi.

Il fumetto parla di Batman, e fin qua ci siamo. Solo che non è il solito Batman tutto muscoli e niente pericolo. È più vecchio, più acciaccato, tremendamente più solo. È una cosa piccola che all’inizio io non avevo neanche notato, ma se si fa attenzione diventa davvero micidiale: il fumetto se ne va via, e lì entra la vita reale. Troppo? Okay, provo a ridirla.

C’è questa idea di fumetto, all’inizio, con la sua classica struttura. Quelli tutti malvagi da un lato, l’eroe unica speranza per la città che prende tutti a mazzate dall’altra. Solo che qui c’è un aggiunta potentissima: questa sua vecchiaia, questa sua pesantezza che si porta addosso. Sono le armi usate da Frank Miller per portare il lettore su un’altra strada. Nascono così due storie. La prima è il fumetto nudo e crudo. Semplice e potente per chi li ama, banale e ripetitivo per chi li disprezza. Dall’altra parte subentra la noia e le fragilità della vita, quelle che tutti noi conosciamo. Ed ecco che Batman si taglia, si mette i cerotti (eh?), si sente solo (cosa?), gli viene da piangere (no, vabbè!).

Un gioco di specchi, il supereroe nel suo mondo, e il lettore fuori dalle pagine. Perché d’altronde che differenza c’è? Il lettore avrà problemi di soldi, e Batman un problema con il crimine, ma perché non dovrebbero soffrire, turbarsi e lamentarsi entrambi nello stesso modo? Il lettore si sfogherà urlando e Batman spaccando qualche naso, ma se poi tutti e due si ritrovano a piangere, cosa cambia?

Un po’ come la canzone “Nessuno vuole essere Robin” di Cesare Cremonini.

Una storia di redenzione, di scazzottate, di paura e di fallimento. Una storia come tante altre. Solo che nel leggerla, non sei più tu a capire Batman, ma lui che cerca di capire te. Non immaginatela come una seduta terapeutica, così farebbe ridere.

Lì sarebbe un attimo chiudere il libro e farsi due passi al parco. Ma il fatto che ci sia Batman, lì tra quelle pagine, a piangere come un bambino, a soffrire di solitudine e di vecchiaia, a non avere uno straccio di amico o di fidanzata (se non per un maggiordomo tremendamente british) lui che è un supereroe, lui che l’hai sempre visto come un essere inamovibile e inflessibile; beh, capite di cosa stiamo parlando?

Non avrò colto molto dei supereroi e del perché fruttino miliardi di dollari ogni anno, ma certo capisco una scena di un film chiamato “Super, attento crimine”.

Non un gran film, in verità. Parla di questo sfigato che si finge supereroe per riconquistare la moglie. E ad un tratto uno gli chiede una cosa del tipo:

perché i personaggi dei fumetti non si annoiano mai, non sono mai tristi e non gli capita mai niente di banale?

E lui senza pensarci risponde così:

“perché succede tra una vignetta e l’altra”.

Ecco. Quando mi sentirò triste, vuoto, e banale, penserò questo. Che sarò nel mezzo tra due vignette.