Un libro, una canzone: insieme
Qualche giorno fa, curiosando tra gli scaffali della libreria più grande e fornita della mia città, mi sono imbattuta in un libro che ha catturato la mia attenzione grazie a due semplici elementi: il titolo e la copertina. Probabilmente in questo momento tutti i puristi della lettura staranno rabbrividendo dietro ai loro tondi occhiali tartarugati, ma la verità è che poche cose mi convincono a dar fondo ai miei risparmi come libri con belle copertine e bei titoli.
Ma di quale libro sto parlando esattamente? Mi riferisco a La gatta, di Jun’Ichirō Tanizaki, precisamente nell’edizione Bompiani. Qualcuno potrebbe obbiettare che il titolo non sia poi granché, che non abbia nulla di stupefacente. Tuttavia, per me, che prediligo titoli brevi e concisi e che sto imparando col tempo ad amare sempre più i gatti (forse per un’affinità ontologica, forse a causa di quei maledetti reel di Instagram), è un titolo perfetto e molto accattivante. Tanto più che l’autore dell’opera è giapponese, ed è noto il grande fascino e il profondo rispetto che la cultura nipponica nutre nei confronti di questo animale, considerato al contempo creatura misteriosa e amuleto (Murakami docet).
Sulla copertina, invece, nessuno può dire alcunché: i grafici hanno fatto un lavoro straordinario, dando risalto nell’assoluta semplicità dello sfondo bianco a un particolare di una stampa di Ikenaga Yasunari, raffigurante, appunto, un gatto chiaro con qualche macchia beige concentrata sulla nuca.
Sia il titolo sia la copertina forniscono preziosi indizi sulla storia che il libro contiene. La loro semplicità, infatti, si riflette nell’essenzialità della trama e nella quotidianità che viene narrata. La storia gira tutta intorno ad una gatta di nome Lily, tanto adorata dal padrone Shōzō quanto odiata dalla prima e della seconda moglie di lui.
Lily viene descritta nel libro attraverso gli occhi delle persone che vivono con lei. L’animale viene utilizzato da Tanizaki per descrivere gli altri personaggi della storia, ovvero Shōzō e le due mogli, Fukuko e Shinako. Il punto di vista attraverso cui è narrata la storia cambia a seconda che di Lily parli l’uno o l’altro personaggio, e questo curioso approccio funziona molto bene in un’opera che contiene veramente poca azione.
Il romanzo si apre con i ragionamenti di Fukuko, la seconda moglie, gelosa delle attenzioni che il marito riserva alla gatta. Attraverso questi pensieri il lettore conosce questo primo personaggio, donna giovane, capricciosa e addirittura violenta, abituata ad ottenere sempre ciò che vuole.
In seguito, la gatta viene descritta attraverso i ricordi che tornano alla mente di Shōzō nel momento in cui egli si rende conto di dover mandare via Lily per far contenta Fukuko. Conosciamo così anche questo personaggio, descritto come uomo mite e bambinesco, debole e propenso ad accontentare la nuova moglie per evitare guai e battibecchi. Emerge chiaramente il profondo affetto che Shōzō nutre per Lily, e viene rappresentato il loro forte legame.
Spesso, quando litigava con Shinako per via della gatta, Shōzō diceva con tono ironico: “Io e Lily siamo tanto intimi che conosciamo l’uno le puzze dell’altra”. L’aver vissuto insieme dieci anni, infatti, li aveva legati profondamente. Forse per certi versi era vero che Shōzō conosceva meglio Lily di Shinako e Fukuko.
Senza dubbio, però, il momento che preferisco dell’intero romanzo è quando la gatta, ormai anziana, viene ceduta alla prima moglie di Shōzō, Shinako, che chiede di avere Lily per potersi riavvicinare al marito tramite lei. Nelle pagine che raccontano il punto di vista di questa donna, infatti, si scorge la profonda e attenta analisi che l’autore fa della psicologia femminile e del comportamento felino. In queste poche pagine Shinako passa dal considerare Lily uno strumento necessario ma fastidioso al vederla come lo spirito a lei più vicino e affine.
Ogni notte, portando a letto la bestiola che sapeva di cose a lungo esposte al sole, veniva presa da un sentimento completamente nuovo. Si ripeteva: “Non sapevo che fosse tanto cara. Come mai non sono riuscita a capirlo prima?”. E il pensiero la riempiva di rimorsi.
Allo stesso tempo è tratteggiato con acuto realismo il comportamento della gatta, mai associata a comportamenti collegati ad un affetto ostentato. Tanizaki tratteggia Lily come un gatto “vero”, diffidente, estremamente indipendente, non incline a farsi coccolare troppo. Tuttavia, la piccola creatura è in grado di prodigarsi in piccoli ma significativi gesti di affetto, che riempiono di gioia il cuore di Shinako, ormai abituata ad essere ignorata e addirittura disprezzata.
A ogni richiamo Lily rispondeva senza stancarsi. Non era mai successa una cosa del genere prima d’allora. La gatta sapeva distinguere le persone che le volevano bene da quelle che la odiavano […]. Poi accadde un fatto davvero insolito: incamminandosi direttamente verso Shinako, che stava seduta sul letto, le appoggiò gentilmente una zampina sul ginocchio.
L’unico elemento che porta avanti l’azione è la gatta, contesa tra due case, odiata e amata, sempre al centro dei pensieri di Shōzō, Shinako e Fukuko. Lily è talmente tanto la protagonista della vicenda, pur non facendo lei assolutamente nulla di rilevante, nulla che un gatto nella realtà non farebbe, che l’intero libro potrebbe essere considerato un inno all’animale. Tanizaki ne è affascinato, così come lo è Lucio Battisti quando canta Maledetto gatto.
Elegante, contenuto
un po’ ironico, garbato
Misterioso, interessato
imbroglione, subdolo, matto
Maledetto di un gatto
maledetto di un gatto
Indifeso, ma per gioco
Dolce, caro, sempre amico
Un poeta, ma per poco
Giusto per un platonico ricatto
[…]
Certo, Battisti usa l’immagine del gatto per descrivere il carattere difficile dall’amata: quello che canta lui è il gatto visto con gli occhi di Fukuko, la Lily subdola e melliflua che non fa altro che infastidirla, ma dietro l’evidente ironia della canzone emerge quello che, a tutti gli effetti, potrebbe essere considerato un omaggio all’animale. Dopotutto, la gatta di Tanizaki è dolce ma anche fredda, amorevole ma a volte indifferente, misteriosa e indipendente.
I difetti di cui si lamenta Battisti sono i difetti di cui si lamentava anche Shinako prima di avere Lily con sé. Solo dopo averla conosciuta senza pregiudizi e senza gelosie la prima moglie riesce a vedere il bello che c’è nella gatta e nei suoi comportamenti, arrivando ad ammettere il grande affetto che prova per l’animale. Solo chi ha la possibilità di vivere con una propria Lily, infatti, è in grado di apprezzare fino in fondo questo libro, che consiste essenzialmente in una dichiarazione d’amore verso una creatura così diversa eppure così simile a noi.
Di tanto in tanto avvicinava la bocca all’orecchio della bestiola, sempre ficcata dentro l’ampio petto del kimono, e le sussurrava: “Non sapevo che tu fossi tanto più ricca di me di sentimenti umani”.
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