Un Libro, Una Canzone: Insieme
La Grecia antica, la guerra e la morte
A chi mastica un poco di lettere classiche (o in generale a chi ha un’ottima memoria e si ricorda ancora le letture di epica alle scuole medie) viene naturale associare la civiltà della Grecia antica a virtù come il coraggio, il valore in battaglia, il desiderio di fama e gloria. Basti pensare a come viene sempre ricordato l’eroe greco più famoso in assoluto, Achille, che a Troia trova la propria morte e, paradossalmente, la propria immortalità, tramandando ai posteri la propria memoria.
Con opere monumentali come l’Iliade, dedicata a una guerra lunga dieci anni a cui partecipano eroi provenienti da tutta la Grecia, pronti a dare la vita per la patria e per dimostrare il proprio valore, è normale che qualche voce “fuori dal coro”, controcorrente, rimanga nell’ombra.
Non solo onore e gloria
È il caso del poeta lirico Pindaro il quale, nella lirica denominata nell’edizione tascabile Einaudi Guerra e pace, della guerra dà una rappresentazione piuttosto differente da quella dettata dal sentimento comune dell’epoca:
Dolce la guerra
a chi non la sa: chi sa,
come s’accosta, trema forte in cuore
Pindaro sembra dire: “Belle le storie di eroi, divinità e nobili valori, ma la verità, la dura verità che nella realtà molti uomini sono costretti a subire, è un’altra”.
Continua poi offrendoci un altro spunto di riflessione, che forse ancora di più si presenta come un’antitesi alla classica retorica del valore in battaglia che rende l’eroe immortale:
Nella calma taluno
ponga lo Stato […]
[…] dal cuore
rancorosa discordia estirpi […]
è la rancorosa discordia che deve cessare secondo le parole di Pindaro, perché essa porta alla guerra, alla discordia e alla morte. E non c’è alcuna fama, alcun onore per cui valga ne la pena.
Generale
Generale dietro la stazione
Lo vedi il treno che portava al sole
Non fa più fermate neanche per pisciare
Si va dritti a casa senza più pensare
Che la guerra è bella anche se fa male
Ecco dunque che arriviamo ai giorni nostri (più o meno) con le bellissime parole di Francesco De Gregori che canta Generale, una delle canzoni italiane più iconiche simbolo di pacifismo e antimilitarismo.
Dopo l’esperienza diretta degli orrori della guerra, la retorica della propaganda e dell’interventismo, tipica della Prima come della Seconda Guerra mondiale, è svanita. Di fronte alla perdita e al dolore, a cui De Gregori allude nelle strofe successive a quella citata, ecco che si prende consapevolezza che la guerra non porta alcun vantaggio. O almeno, alcun vantaggio al soldato che la combatte.
D’altronde, “dolce la guerra, a chi non la sa”.
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