Un libro, una canzone: insieme
“Consigliato da un direttore della fotografia durante un set. Da quel momento ho smesso di dubitare delle scelte letterarie delle troupe televisive. Soprattutto dei direttori di fotografia, quando leggono Mastrocola”.
Oh, la tenerezza di questo libro. Leggi la prima storia e da lì sei travolto e portato via in un altra terra, in un altro mondo, che guarda caso era proprio quello che stavi cercando. In sintesi: sono ventotto racconti in cui Paola Mastrocola “rilegge” alcuni miti greci. Non è che li stravolge, per carità. In termine cinematografico possiamo dire che cambia l’ottica, un po’ come se stessi riguardando un film che hai già visto mille volte ma notassi all’improvviso che le inquadrature siano tutte diverse. I primi piani diventano campi lunghi, alcune dettagli vengono messi a fuoco. La sostanza rimane quella, ma è tutta un’altra storia.
Ritorni a casa dai tuoi famigliari, in un certo senso. Apri la porta e nel salotto ci sono Orfeo ed Euridice, vecchi compagni di noiose lezioni di quando eravamo bambini e lì è un attimo farci due chiacchiere, Ehi, vecchio Orfeo, sempre a guardare la tua bella?, Dai raccontami ancora questa storia degli inferi che al momento mi sfugge.
Vai in cucina e rivedi Elena, Da quando tempo!, Ancora a fuggire via con il tuo Paride?, Già che sei qui raccontami un po’ come è andata quando ti hanno ripreso a Troia che non proprio non mi ricordo, Come?, Trasformata in una nuvola?
E poi Eco e Narciso, e le ali di Icaro, e Teseo con Arianna, e la nascita di Europa, e Apollo e Dafne, e… e via così.
Un lento cadere e guardarsi indietro. Osservando quelli prima di noi, quelli che hanno spianato la strada che ora percorriamo. È la stessa sensazione di quando un nonno o un vecchio parente anziano ti racconta qualcosa. La storia è sempre quella, ma qualche dettaglio ti emoziona sempre, e gira che ti rigira, mentre saluti l’anziano signore, nella tua testa stai ancora errando nel labirinto del Minotauro e negli innamoramenti poco politically correct di Zeus. Cose che succedono quando trovi uno scrittore che si prende cura dei grandi miti e li sa riscrivere bene. Mastrocola lo fa da dio.
Così arrivi alla fine del libro, sperando illusoriamente di trovarci ancora qualche ultimo racconto, o per lo meno un capitolo mancante. È triste tornare alla realtà quando sei salito sulla barca di Mastrocola, viaggiando in quei panorami sempre infiniti delle storie e degli insegnamenti greci. Amori folli, desideri irraggiungibili, esistenze tragiche e allo stesso tempo gloriose. Perché i greci raccontavano una cosa che conoscevano molto bene, ovvero che l’intera esistenza umana non fosse altro che un gesto compiuto in una manciata di secondi che avrebbe per sempre cambiato il tuo destino. Gesti semplici, come uno sguardo, un bacio, una lacrima: ma in quel gesto si possedeva lo stesso splendore e la stessa bellezza di un dio. Sia nel trionfo (rarissimo), che nella caduta (teneramente dolorosa e per questo umanissima). Discorsi ben distanti dal logorante e alienante presente che abitiamo. Una sensazione che racconta molto bene Mannarino nella sua canzone “Le rane”.
Che poi lo sanno tutti che sono storie inventate, questa cosa dei miti. Sarebbe folle e scellerato cercare di imitare qualche loro prodezza. Però non so: ogni tanto ci si lascia prendere da uno slancio poetico, e allora si inizia a pensare che le relazioni romantiche che viviamo non siano altro che un lungo e lentissimo prolungamento dell’amore di Eros e Psiche. E le nostre paure, un lontano riflesso di quel brivido provato da Orfeo quando guardò in faccia Eurice, perdendola per sempre. E i nostri desideri, quel cielo sempre stellato e divino che volava sopra la testa dei nostri padri. È arroganza paragonarsi agli eroi che i nostri padri hanno inventato? È forsennato cercare il filo delle nostre esistenze come fossimo ancora dentro il labirinto del Minotauro?
Questo fanno i grandi miti: accendono qualcosa di incontrollabile e di nascosto dentro di noi. Sono fatti così, e non c’è nulla che si possa fare a riguardo. Oddio, magari leggerli, ecco, quello sì.
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