Un Libro, Una Canzone: Insieme
Cosa spinge l’uomo verso il male? Che cosa lo spinge a mentire, ingannare, frodare e uccidere? Quale miccia, quale accidente permette al vaso di Pandora di aprirsi e liberare tutta la follia e la violenza che l’uomo tiene racchiuse in sé?
Sono tutte domande a cui è impossibile dare una risposta. Non lo so io, non lo sapete voi e non lo sa nemmeno Emmanuel Carrère, che nell’opera L’avversario ricostruisce la vita e indagare pulsioni e pensieri di un uomo bugiardo ed evidentemente affetto da problemi psichiatrici.
La verità
L’Avversario è un viaggio. Carrère ci fa fare la conoscenza di Jean-Claude Romand, all’apparenza distinto e insipido ricercatore e medico ma in realtà truffatore e bugiardo dalla doppia vita, incarcerato per aver ucciso moglie, figli e genitori.
Il resoconto che ci fornisce l’autore risale al momento del processo, e ripercorre la vita di Romand dall’infanzia fino alla strage compiuta ai danni dei propri famigliari. Nella narrazione che ci viene proposta mondo della verità, della menzogna e della possibilità si intersecano in un intreccio di documenti giudiziari, testimonianze di conoscenti e confessioni dell’accusato stesso, che raramente sembra dire la verità.
La vita in società di Romand inizia con una bugia, l’aver passato l’esame di fine anno di medicina, e finisce con una bugia, l’essere innocente, affermazione subito ritrattata e smentita da lui stesso.
Molte cose si potrebbero dire della storia narrata in L’Avversario, della violenza insensata e inspiegabile che l’autore ci racconta, ma oggi vorrei concentrarmi su un aspetto altrettanto rilevante: la dicotomia verità-menzogna.
Il dubbio
Ci si può fidare di un uomo la cui natura è intrinsecamente e inesorabilmente legata alla menzogna? Evidentemente no, ma Carrère spesso non ha altre fonti da interpellare. Quindi i dubbi, le perplessità, le incompatibilità che caratterizzano il resoconto fornito dall’imputato tormentano tanto l’autore quanto il lettore. Il pentimento è veritiero? La fede cristiana ritrovata è davvero sentita o è solo un comodo strumento per mettersi al riparo dalla verità? Come saperlo?
E intendiamoci, qui non è la colpevolezza di Romand ad essere messa in discussione. Certamente lui ha commesso gli omicidi che ha confessato. È tutto il contorno ad essere a dir poco sfuocato agli occhi dell’autore come ai nostri. È il perché che ci sfugge, la causa dell’azione, la causa dell’omicidio.
Carrère, fin dall’inizio, cerca di spiegarci (e di spiegarsi) la dinamica almeno parzialmente:
…Romand è anche quel piccolo imbroglione, e per lui è molto più difficile accettare questo aspetto, sordido e infamante, di se stesso che confessare una serie di omicidi la cui mostruosità gli conferisce una dimensione tragica. In un certo senso, questa immagine gli è servita a nascondere l’altra, anche se in modo parziale.
Romand, dunque, era così spaventato dall’idea di essere visto per quello che era realmente, un “piccolo imbroglione”, da giungere ad uccidere quelli del cui giudizio aveva paura?
Renato Zero in L’Assassino canta:
C’è un assassino in fondo ai tuoi rimorsi
Nelle promesse e poi nei fallimenti tuoi
È dunque questa la risposta? Forse, ma Carrère fa un passo ulteriore.
La nostra verità
Di fronte all’impossibilità di giungere a una verità certa, noi possiamo affidarci a quella (parziale) che ci offre l’autore. Ed ecco allora, in questo momento si palesa la grandezza di un narratore che, di fronte all’incerto, dice una cosa tanto semplice quanto illuminante:
Sono sicuro che non stia recitando per ingannare gli altri, mi chiedo però se il bugiardo che c’è in lui non lo stia ingannando. Quando Cristo entra nel suo cuore, quando la certezza di essere amato nonostante tutto gli fa scorrere sulle guance lacrime di gioia, non sarà caduto ancora una volta nella rete dell’Avversario?
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