sabato 23 Novembre 2024

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Letteratura a 45 giri: le lettere di Babbo Natale – Tolkien e Francesco De Gregori

Una canzone, un libro: insieme

Noi tutti rammentiamo i nomi dei nostri vecchi amici e ne conserviamo le lettere, nella speranza di tornare quando siano diventati adulti e abbiano una loro casa e bambini”.

Da quando si è saputo che un paffutello uomo sulle renne consegnasse doni in lungo e in largo, molte sono state le lettere inviate a Babbo Natale nella speranza di qualche regalo, o una vittoria della propria squadra del cuore, o qualche utopistica svolta mondiale verso la pace e una miglior vita (mi sono sempre impuntato nella seconda ma o le mie lettere non gli sono mai arrivate oppure mi devo rassegnare che Babbo Natale non tifi la Lazio). In ogni caso, capirete bene quanto ambaradan di robe dovrà pensare quel povero uomo vestito di rosso e dalla folta barba. Fu con questo pretesto che a J. R. R. Tolkien balenò in mente un’idea semplice ma bellissima. Quella di scrivere, tutti i 25 dicembre, una lettera di Babbo Natale per i suoi bambini. Poi, se la tua mano è in grado di orchestrare una storia come quella del Signore degli anelli, è chiaro che poi vuoi fare le cose in grande – perciò allegava anche dei disegni colorati e realizzati da lui. Ne venne fuori un libro dolce e poetico: le lettere di Babbo Natale.

Sono lettere molto corte, di una pagina circa tutto. Per lo più concentrate sulle avventure e disavventure degli aiutanti di Babbo Natale, come ad esempio il suo amico pasticcione Orso Polare, e i suoi nipoti Paksu e Valkotukka (non chiedetemi perché). Poi ci sono i Folletti che cercano ogni anno di rovinare tutto e rompere tutti i giocattoli, ma per fortuna, con gli aiuti degli gnomi, il Natale riesce sempre ad entrare nella casa di tutti. La cosa veramente folle è che mentre si legge questo piccolo libro, bisogna immaginarseli lì, i bambini di Tolkien, a leggere una lettera che in quel momento doveva venire per forza da Babbo Natale. Questa è una delle bellezze immense e incomprensibili della letteratura: quella di prendere un piccolo fuocherello di fantasia e di innalzarlo verso vette vertiginose, laddove i bambini creano mondi, vite impossibili e realtà che influenzeranno la loro crescita. Tolkien lo fa con una cura, e una precisione da papà prudente e benevolo. Sia nei disegni, bellissimi, che nella costruzioni delle frasi. E allora viene da chiedersi come mai, un uomo dotato di quella fantasia e di quel talento nel scrivere, desse così tante attenzioni e importanza a delle lettere scritte da Babbo Natale. Più se lo si chiede e più si capisce che i veri geni nascono da questi gesti qui. Semplici, innocui ma con dentro un’energia pazzesca. Vuol dire amare quello che si fa e per chi lo si fa. Non ci vuole certo un Nobel alla scrittura per scrivere ogni anno una lettera per i figli, eppure quasi nessuno lo fa, per un motivo o per l’altro. Invece lui si metteva lì, sulla sua scrivania, a dedicare un’ora del suo tempo nell’inventare un mondo che fosse solo per la sua famiglia.

Si legge, e si diventa un po’ bambini. Non tanto perché si parli di Babbo Natale, quello tutti ne sentano parlano. Ma perché si avverte che qualcuno si sta prendendo cura del tuo mondo, della tua fantasia, e con essa dei tuoi sogni. Quando si è bambini non è che ci siano tante gioie più grandi di quella. E che dolore fa leggere la sua ultima lettera, quella dell’avvento, oltre del Natale, anche della guerra. Poi dell’uomo più amato dai bambini non abbiamo più scritti. Forse stiamo aspettando che qualche scrittore scrivi nuove sue avventure, sperando che i folletti non abbiano preso il sopravvento nelle loro diaboliche distruzioni. Noi aspettiamo, come ci dice di aspettare una canzone di De Gregori che sembra essere stata cantata per noi oggi: Natale.

Poi viene fuori un pensiero folle. Quello che se tutti gli uomini e le donne del mondo si mettessero lì, con una penna e un foglio, a scrivere una lettera di Babbo Natale da dedicare alla persona che amano, forse chissà, allora non ci sarebbe più il tempo e la voglia di fare nuove guerre, o di violentare e insultare il prossimo, o di discriminare e odiare chiunque la pensi diversa da noi. Sono pensieri da bambino forse. Ma se c’è uno scrittore che è stato nei suoi romanzi e nella sua vita, un bambino dall’inizio alla fine, allora quello era Tolkien. E non è che gli sia andata poi così male. Perciò, chissà…

Buon Natale, amici.

Con affetto,
l’Orso Polare.