venerdì 22 Novembre 2024

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Letteratura a 45 giri: Odissea – Omero e Lucio Dalla

Un libro, una canzone: assieme

È racchiusa tutta lì, nell’odissea, la radice di questa trama complicata che cerchiamo di ricomporre ogni giorno quando ci alziamo dal letto. Tutta lì dentro. Le nostre storie d’amore, i nostri affanni, le sconfitte e le vittorie, i tradimenti e le promesse, le bugie e gli atti di fede. C’è chi va parlando che nessuno, lassù, si sia preso la briga di darci un libretto d’istruzioni per capire cosa farsene, del tempo qui, sulla Terra.

Un libretto chiaro e semplice, effettivamente, non ce l’hanno dato. Una delle più grandi storie e racconti di sempre, quello si. Not bad, sir.

Anche solo la sua presenza è incredibile. Le bombe risuonano ancora tra i corpi senza calore e senza giustizia sulla striscia di Gaza, i bambini muoiono risucchiati dalle onde del mare senza far rumore, il covid rischia di devastare psicologicamente la crescita di milioni di adolescenti in tutto il mondo; ma nonostante questa umanità che crolla, noi siamo anche altro. Siamo anche quel libro lì, quegli eroi lì.

È un modo splendido di guardarci indietro e ricominciare a camminare più uniti. So, caro lettore, che queste sono solo parole, e le parole possono essere affilate come lame, ma anche leggere ed esili come delle piume. L’odissea, però, è in fin dei conti un mare di parole. Tra le più belle, e le più vere, ma sono sempre parole.

E se siamo qui, su questa pagina nell’etere di internet, a parlare di quelle parole millenni dopo che sono state scritte, mentre i ponti crollano, i cantanti se ne vanno, le foreste si incendiano, le idee si trasformano, beh… qualche motivo ci dovrà pur essere no?

Ne commenterò poche, oggi. L’incontro fra Ulisse e Penelope. Lo conosciamo tutti, giusto? Di quando lui fece strage insieme a Telemaco di tutti i proci, e di come non fu riconosciuto immediatamente da Penelope perché sporco di sangue e invecchiato dai vent’anni di viaggio nel mare.

Bene. C’è questo momento, anzi, questa frase, che io trovo meravigliosa. Ulisse va a lavarsi e, grazie all’aiuto di Atena, torna da Penelope simile all’aspetto e al fascino degli dei, un po’ come noi dopo che facciamo una bella doccia dopo il calcetto.

Ecco che i due continuano a studiarsi. Ulisse la rimprovera per non essersi accorta che il suo amato marito sia tornato, ma Penelope rimane dubbiosa. In quel momento, citando il talamo (il letto matrimoniale) che Ulisse costruì tagliando il più bell’albero d’ulivo del giardino e posizionando la parte più bella e resistente nel centro della stanza, Penelope capisce che lui è veramente suo marito.

Questa è la frase di Omero: “a lei (Penelope) di colpo si sciolsero le ginocchia e venne meno il cuore”.

Questo. L’odissea passa, se non proprio tutta, gran parte della sua storia in questo gesto. Lo fa una donna, e non il nostro eroe. Lo fa una donna che all’apparenza non sembra altro che aspettare suo marito. E soprattutto, lo fa involontariamente. Come fosse una molla, un respiro liberato, un abbandono dei sensi.

“Si sciolsero le ginocchia e venne meno il cuore.” Mi fa impazzire questa cosa. I nostri padri ci insegnano che noi veniamo da lì, dalle nostre imprese eroiche, dal nostro viaggiare irrefrenabile e frenetico, ma sopratutto da questo gesto che è sempre lo stesso: tornare a casa. Come nella canzone Itaca di Lucio Dalla.

Passiamo l’intera esistenza aspettando e lottando contro gli altri e contro noi stessi, preparando e maturando il momento in cui il mondo ci si palesi davanti. In poche e poetiche parole: aspettando il momento in cui possiamo abbandonarci al destino. Pensateci la prossima volta che vi sentirete innamorati, amati, protetti e rassicurati. Senterete l’eco di una voce lontana. Una voce che racconta del nostro – del tuo, del mio – tornare a casa.

Un modo come un altro per dire che continuiamo a vivere, ognuno di noi, la storia di Ulisse.
Chi tornando e chi aspettando.