Un libro, una canzone: insieme
Se c’è proprio una cosa da dire del romanzo Sottomissione è che è strano. O meglio, strana la reazione che suscita in chi lo legge. Un piccolo senso di fastidio e di intolleranza religiosa, un vuoto indelebile nell’animo, una voragine di sconforto verso l’umanità. Un libro, a rigor di logica, da tener bene distante dai nostri poveri e stanchi occhi, se solo non l’avesse scritto un francese dall’innominabile nome: Houellebecq.
La storia è un mix di fantapolitica, thriller e saggio culturale. Ne esce fuori un romanzo che si può sintetizzare così: un professore universitario naviga superficialmente nei pensieri e nelle noie della sua banale vita, quando in Francia va al potere il partito dei fratelli musulmani. Ciò che lascia inquieti, per tutto lo svolgimento del racconto, è che non succede mai qualcosa di veramente sconvolgente. Certo, ogni tanto una bomba qua e là scuote l’animo dei parigini; qualche innalzamento d’indice elettorale sembra capovolgere lo scenario politico francese, ma tutto prosegue lento, tranquillo, per l’appunto, sottomesso.
Il nostro protagonista tutto possiede e niente stringe. Ha una laurea, una fidanzata, una casa e molti soldi da parte. Ma nulla che suscita in lui un vero senso di appartenenza alla vita. Difficile immedesimarsi in lui. Altrettanto arduo prendergli le distanze. Infatti non è con occhio da giudice che lo osserviamo navigare nei meandri sconfinati dei siti pornografici in rete, o quando si concede in appassionanti notti amorose con più escort. Non è il declino di un personaggio, ma, come suggerisce Houellebecq, il declino di un popolo.
Un popolo libero, civilizzato, maturo e progressista, ma sottomesso ai suoi dogmi, alla sua rigida schizofrenia, alla sua evanescente ed instabile cultura. Ne esce quindi il rapporto con la civiltà islamica. Houellebecq crea un gioco di specchi senza mai entrare veramente a fondo dei tecnicismi religiosi. Ne fa più un problema culturale ed etico. Siamo, noi europei, un popolo libero? È, questa libertà, motivo di vanto e di felicità? Non c’è una vera risposta, ma più si legge il romanzo e più si oscilla verso un baratro di prigionia e di irreversibile apatia riguardo ciò che ci circonda.
Ecco allora la risposta musulmana: la sottomissione. Non in termine di schiavitù, ma di salvezza. Vivere cercando una missione. Sentirsi liberi solo se si collabora ad uno scopo. Troppo astratta la società europea, troppo rarefatta nei suoi valori e nelle sue certezze. Ritornare ad avere uno scopo, anche animalesco, non più individuale ma collettivo. Perdendoci per ritrovarci, smarrendo l’io e vedendo solo il noi.
Servendo qualcuno e dimenticando noi stessi. Una profezia di di Bob Dylan, cantata anche da Francesco De Gregori nella canzone Servire qualcuno.
Ne esce fuori un finale quasi apocalittico, dove l’uomo, o meglio, l’uomo europeo, non esce sconfitto ma esiliato. Sottomesso da se stesso prima ancora che da una forza nemica. Insomma, una realtà abbastanza lontana da quella che viviamo oggi.
Vero?
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