venerdì 22 Novembre 2024

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Letteratura a 45 giri: Sulla vita – Tolstoj e Capossela

Un libro, una canzone: insieme

Del resto, ognuno ha le proprie idee riguardo cosa significhi narrare. Che sia una pratica concernente ad una storia, o ad rapporto che pendola tra verità e finzione, la narrazione varca i limiti visibili ed esonda nell’immaginario di tutti noi. Basti guardare come parlano i politici, come sono serviti i menù al McDonalds, le pettinature delle star di Hollywood in una loro serata di gala. Tutto è narrazione. Tutto racconta e tutto può essere raccontato. Come?

Beh, sapere il primo punto è il vedere il campo da corsa. Saper rispondere alla seconda domanda è, nei fatti, correre. Uno che l’aveva capito, ed eccome se l’aveva capito, fu Lev Tolstoj. Già la sua vita fu una giostra di peripezie e aneddoti che potrebbero ispirare film e opere teatrali che per ragioni a me ancora ignote non ho ancora capito perché nessuno si sia preso la briga di realizzare. Ma si sa, così è la vita. Come?

In che senso? No, nel senso, “così è la vita” c’è scritto sopra, ma, in sostanza, come, c’è, com è? 
Ah, capito. Potevo anticiparlo prima, ma serviva un goccio di follia – e un dialogo nascosto tra le pieghe delle parole e dei miei pensieri, probabilmente non riuscito benissimo, ma ormai il sasso è lanciato e qui nascondere la mano dietro uno schermo piatto farebbe solo ridere – per presentare un libro che ha come compito quello di risponde a questa domanda. Parliamo di “Sulla vita”.


Appena Tolstoj lo pubblicò, il libro fu censurato dal Comitato della censura, il primo passo per rendere una qualsiasi opera di un grande autore, una trionfale opera. E così fu. Sulla vita fu un trionfo e fu anche il vero ingresso di Tolstoj nel panorama letterario russo. È un saggio di trentacinque punti, due appendici, un introduzione e una conclusione, dove si cerca di trattare in maniera religiosa, filosofica e strettamente scientifica, la vita.

Non è che sia tutto chiaro. Ci sono punti in cui ci si perde, ci si confonde in tecnicismi da filosofi. Alcuni concetti vengono lasciati, poi ripresi, infine abbandonati e ripescati per un’ultima considerazione. Ma non è tanto il ritmo o la trasparenza dei concetti a dare a questo libro un fare da nonno che ti racconta con saggezza e dolcezza la sua opinione: è il suo distacco. Nonostante le prese di posizioni, sembra proprio che Tolstoj non abbia mai vissuto in questa nostra vita. Sembra sia stato tutto il tempo sulla luna a vedere il nostro comportamento e le nostre reazioni di fronte agli accadimenti di noi essere umani. Non ci sono aneddoti, sbilanciamenti emotivi. Tutto poggia in un piano pragmatico e, appunto, distaccato dall’oggetto di studio.

Questo può non fare piacere, soprattutto all’inizio quando ti imbatti in una faida scientifica su quali siano i mezzi giusti e adatti per a studiare i concetti universali come le cellule, l’uomo e la vita nel mondo. SI ha la sensazione di girare un po’ intorno alla vera questione, ecco. Però poi ci si sente testimoni di una materia nostra, una materia che è a noi tangibile tutti i giorni. Non rientra in un sfera a sé stante. Rientra con tutto. Rientra con te. Rientra con me. Con tutti noi.

Così Tolstoj va a chiedersi quale sia la vera felicità e come essa può essere raggiunta, studia la crociata tra l’uomo razionale e l’uomo animale, individua nel Cristo una figura rivoluzionare e differente rispetto al pensiero contemporaneo, prende a sberle gli intellettuali moderni mentre onora quelli antichi. E nel paludoso trattato di tesi ed ipotesi, spuntano dall’alto delle frasi che sono sprazzi di luce celeste.

“Quel sentimento felice di tenerezza, durante il quale si ha voglia di amare tutti: chi ci è vicino, il padre, la madre, i fratelli, e anche gli uomini malvagi, e i nemici, e il cane, e il cavallo, e il filo d’erba. SI ha voglia di una cosa sola: che tutti stiano bene, che tutti siano felici, e ancor più si ha voglia di essere noi a fare in modo che tutti stiano bene.”

È una bella sensazione, questa. Trovarsi presi in causa nelle cose a cui noi diamo il valore di essere le pietre fondanti dei nostri ideali. Leggere dunque un libro sulla vita, scritto più di duecento anni fa, e sentirsi chiamati in causa.

Cosa significano le domande: Perché? A cosa servono le sofferenze? – che si pone l’uomo razionale? Perché un uomo, pur sapendo come la sofferenza sia legata al piacere si domanda: “Perché? A che serve la sofferenza?” e non si domanda: “Perché? A che serve il piacere?”?

É da rileggere. Bisogna perderci un po’ di tempo, ma vi assicuro, il panorama che vede lui è fantastico. Ci si sente come nella canzone “Il povero Cristo” di Vinicio Capossela, in questo lungo peregrinare in attesa di una illuminazione messianica.

Così è sulla vita, dunque. Un’ultima considerazione. A me fa proprio tenerezza questa cosa. L’idea che comunque, per quanto possa essere complicato il mondo, i rapporti, le paure e i sogni delle persone, qualcuno abbia nel cuore il desiderio di mettere ordine in questo groviglio che è la vita. Tolstoj ci ha provato con un libro. C’è gente che invece va in Africa a fare volontariato, chi consola un amico, chi scrive lettere, chi aspetta qualcuno, chi piange e poi abbraccia il prossimo. Siamo tutti un po’ così. Incasinati, diciamo.

Ma a volte, chissà proprio perché, ci viene voglia di provare a rimetterlo un po’ a posto, il mondo. Questo sì. Ed è questa, alla fine e all’inizio, la narrazione che voglio vivere io.