venerdì 22 Novembre 2024

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Letteratura a 45 giri: Uomini e topi – Steinback e Francesco De Gregori

Un libro, una canzone: insieme

Tempo fa credevo molto in un semplice concetto. Anzi, più che crederci, ne ero fermamente convinto. Si può spiegare in questo modo: non c’è storia che valga la pena raccontare, se non ha un bel finale. Lo so, è un pensiero molto stupido, ma questo è quanto. Finiva un film e se il finale non era positivo, un misto di rabbia e pesantezza si gonfiava dentro il mio critico giudizio, così da depennare subito la storia in un racconto sbagliato, mal trasposto o, peggio ancora, banalmente concepito.

C’è così tanto malessere qui intorno che non potevo accostarmi all’idea di raccontare una storia che producesse altro dissapore nell’umanità e nel mondo circostante. Così era. No lieto fine, no party. Poi, ho letto uomini e topi.

È il primo libro di Steinback che abbia mai letto. Probabilmente non il suo migliore, ma di gran lunga il suo più tenero. Parla di due amici in un’America ormai lontana, con un sogno in testa: avere un posto loro dove coltivare la terra. Ovviamente, sono poveri in canna; per vari strani motivi, sono fuggiaschi; e per un assoluto e cieco desiderio del destino, sono bersagliati dalla sfortuna.

È veramente difficile non innamorarsi di questi due personaggi. Da un lato Lennie Small, gigante con il cuore e la mente di un bambino, e dall’altra suo cugino George Milton che si prende cura di lui e che combatte contro tutti e tutto per raggiungere il loro sogno.

Vi devo dire che un po’ di puzza di malessere la sentivo già dalle prime pagine. Forse per l’accostamento che fa Steinback tra gli uomini e i topi, e il loro assiduo vagare senza meta. Ma non era solo quello. Più si va avanti nella storia e più si rincorre il sogno dei due cugini, più si disegna la mappa del cuore dei due personaggi. Due cuori che sono, per l’appunto, fragili. Da una parte per l’ingenuità e per la bontà a suo servizio. Nell’altro per un mondo troppo duro e troppo faticoso per nutrire un sogno così semplice e puro.

Ti senti un po’ uno, un po’ l’altro, ed è questa la vera forza di questa storia. È una storia che racconta la disillusione, la vincita del mondo rispetto ai propri sogni, ma lo fa con due strade e con due personaggi. In questo modo ti fa soffrire un’unica volta, ma passando per due esistenze completamente opposte, come se il dolore di più persone fosse il dolore di tutto un mondo.

Un dolore e una rabbia che De Gregori racconta bene nella sua canzone 3000.000.000 di topi.

“Erano i topi del magro cuore,
Seduti ad aspettare,
Il nostro magro cuore.”

E nonostante il libro ti prepara alla disfatta, questa ti spezza comunque il cuore. Faccio ancora fatica a capire per quale motivo. Forse perché ti toglie una piccola certezza dentro, perché ti spegne una piccola luce che teneva vivo il sogno dei tuoi personaggi e, in parte, anche i tuoi. Di fatto, il libro è una lunga e lenta piccola lacrima che, scorrendo tra i dialoghi di Lennie e i silenzi di George, alla fine ti piomba addosso e ti ricopre di un senso di tristezza. Qualcosa a che fare con l’idea di “smarrimento”.

Chiusi il libro e me ne sono rimasi lì a pensare, per un po’. Avrei dovuto depennarlo, recensire negativamente un finale tragico come di tante cose tragiche invadono il nostro mondo. E invece no.

Per qualche strano motivo sentivo dentro di me il desiderio di uscire di casa e innamorami e sognare fino a star male. È una cosa difficile da spiegare. È che a volte ci sono dei sogni talmente belli, dei paradisi posti nel cuore talmente puri che non c’è finale, per quanto tragico, capace di dissolverli. Rimangono vivi, belli e tristissimi. Come una storia d’amore che finisce male, o un’amicizia consumata. Si soffre tanto, ma la bellezza che c’era, perdura. Nella memoria o nelle sfumature del tempo.

Così leggendo uomini e topi, ho iniziato a pensare che non esistono cose belle o cose brutte in questo mondo. Non esistono nemmeno i finali giusti o sbagliati, persone buone o cattive, vite vere o false. Niente di tutto ciò. Esistono solo le cose eleganti o ineleganti.

E per quanto il destino può spezzarci, noi potremmo sempre trovare un mondo per essere eleganti. Anche nella disfatta, anche nei finali tristi. Unica grossa differenza, forse, tra gli uomini e i topi.