Un libro, una canzone: insieme
“Mi sono messo in testa di diventare pittore” – Lettera di Gauguin a Pissarro (1882)
Paul Gauguin fu un pittore francese della vita avventurosa e dallo spirito irrequieto. Figlio di un giornalista rivoluzionario, si trasferì ancora bambino a Lima, in Sud America, dove passò la fanciullezza. La sua vita fu caratterizzata dal cambiamento: a diciassette anni si arruolò come marinaio e girò il mondo, poi divenne un brillante agente di borsa e padre di famiglia borghese, infine si rivelò pittore innovatore e rivoluzionario, assumendo su di sé l’immagine di artista maledetto consumato da risse, alcool e morfina.
Quella di Gauguin, dunque, è una storia affascinante, una vita degna dei più avvincenti romanzi. Un tentativo di ricostruire le vicende vissute dall’artista e di indagare i suoi pensieri e i suoi più profondi desideri si deve a Fabrizio Dori, autore della graphic novel Gauguin. L’altro mondo (Tunué, 2018).
Onestamente, non sono una grande lettrice di romanzi a fumetti, o meglio, non sono una grande lettrice di fumetti in generale, al punto che non sono mai andata oltre la lettura a dodici anni di Topolino e Le Witch (perdonami Zerocalcare, giuro che rimedierò). Tuttavia, curiosando tra i molti stand presenti a una fiera del fumetto qualche anno fa, mi è capitato di imbattermi proprio in questa graphic novel e di rimanerne incantata. Mi hanno subito attirato lo stile del disegno e l’uso dei colori, così personali ma allo stesso tempo così vicini a quelli che usò anche Gauguin ai suoi tempi. Inoltre, ho trovato molto interessante l’idea di omaggiare un pittore attraverso non una semplice biografia, bensì attraverso l’unione di parole e immagini che prestino la voce alle tele stesse del grande artista. Quindi mi sono decisa e ho comprato Gauguin. L’altro mondo. E l’ho trovato estremamente affascinante.
Gran parte della graphic novel è caratterizzata da un lungo flashback di Gauguin che, vicino alla morte, viene guidato da uno spirito verso ciò che lo attende ed è invitato a ricordare i più importanti avvenimenti della sua vita. Attraverso questo espediente narrativo il lettore fa la conoscenza della spiritualità propria dei popoli di Tahiti e della vita pacifica e tranquilla che essi conducono, della vita di Gauguin, dei suoi ideali artistici, del rifiuto che la società parigina mostra verso la sua arte e soprattutto della reazione che l’artista oppone a questo rifiuto.
Tutto ciò è narrato con agilità e potenza attraverso i colori, le forme e lo stile che Dori utilizza. Per le scene ambientate a Parigi l’autore usa prevalentemente colori freddi e uno stile più realistico, mentre per le scene ambientate a Tahiti i colori si fanno più caldi, a simboleggiare l’affetto e la pace che Gauguin trova sull’isola. Infine, vi sono alcune scene legate alla presenza di spiriti e spettri propri della mitologia tahitiana in cui i colori si fanno più lugubri e il disegno più simbolico e “surrealista”.
La graphic novel si basa su un Gauguin incompreso dalla sua gente, alla ricerca di un “altrove” che lo possa accogliere e aiutare a trovare ciò che egli desidera dalla sua arte. Viene narrata una fuga dalla civiltà, la quale limita e consuma il grande artista, e da una società ancora troppo innamorata dell’impressionismo e restia all’innovazione.
Qualcuno capì il valore del mio lavoro, della mia ricerca. Ma non era abbastanza! Non era ancora il successo che meritavo. Io sognavo di rivoluzionare la pittura! Avevo bisogno di più spazio, di più libertà. Fuggiamo! Fra i pittori uno in particolare apprezzava il mio lavoro: si chiamava Vincent, Vincent Van Gogh. Per quanto fossimo diversi, Vincent e io condividevamo lo stesso destino, la stessa lotta. Assieme fantasticavamo di un “Atelier ai Tropici”, una comunità di artisti che potesse vivere e lavorare assieme lontano dall’Europa. Lontano dall’orribile società dove trionfano i piccoli a discapito dei grandi, dalla società che subiamo e che è il nostro calvario. Tutto questo non si realizzò mai. Fui solo io, alla fine, a partire.
In queste parole si scorge il desiderio dell’uomo di scappare dalle regole che gli sono imposte. Nella graphic novel si delinea una società che offre troppo poco a uno spirito artistico, il quale è costretto a fuggire altrove, verso l’ignoto e l’incontaminato. È questo, credo, quello che spinge anche Lucio Dalla a partire nella canzone Ciao a te, dove risuonano dure e graffianti le parole di un figlio cantautore indirizzate ad un padre spento, monotono, immerso in una società che non dona niente di bello, nessuna ispirazione.
Ma quante cravatte
e l’aumento del latte
la gente che grida
e un cane che piange, che piange
e una corrida.
Ciao a tutti quelli
quelli che ti stanno attorno
alle tue notti corte
alle tue notti senza ritorno
alla tua vecchia puzza di piedi
ciao a te e a tutto quello che credi.
[…]
Io vado via, io vado via, io vado via
dove c’è ancora un pò di posto per pensare
due o tre persone e metterci insieme
dove anche senza star bene
ridendo, piangendo, parlando
si può ricominciare.
Quella di Gauguin è la storia di una visione incompresa, di uno spirito irrequieto e di un desiderio di gloria negato. Le due condizioni, quella descritta nella graphic novel e quella cantata nella canzone, sono per certi versi affini, dal momento che mostrano a due diversi livelli l’intolleranza verso una società incapace di offrire all’artista ciò di cui ha bisogno.
Tuttavia Gauguin fu uno spirito sempre insoddisfatto, e quindi partì, lasciando quella terra paradisiaca tanto bramata e poi conquistata. Abbandonò Tahiti e la pace per tornare a Parigi e ottenere quel riconoscimento che a lungo gli era stato negato.
Dovevo mostrare il mio lavoro al mondo. Altrimenti sarebbe stato tutto inutile! Avevo ragione, avevo sempre avuto ragione. Ora avrebbero dovuto riconoscerlo. Non avevo esitato ad allontanarmi dai circoli artistici di Parigi. Ma era giunto il momento di tornare, a che sarebbero serviti i miei sforzi altrimenti? […] Io volevo tornare a Parigi per avere ciò che mi spettava! Io dovevo tornare a Parigi, perché il mio compito me lo imponeva. Io ero costretto a tornare a Parigi perché non avevo più denaro. Allo stesso tempo desideravo restare a Tahiti.
Lasciata la terra tanto amata, sappiamo tutti quale fu la fine di Gauguin. Una fine misera, direbbero molti, la fine di un infelice, ma probabilmente l’unica fine possibile per un’anima come la sua, artista maledetto e irrequieto. Perché, dunque, tutto quel dolore e tutta quella ricerca incessante e faticosa? Probabilmente pochissime persone al mondo possono capire fino in fondo cosa significhi essere un artista e vivere per la propria arte, ma credo sia possibile percepire la presenza di quella forza misteriosa nelle parole che Dori fa dire a Gauguin alla fine della graphic novel:
Esiste una felicità adatta all’uomo e c’è una felicità che è riservata soltanto ai pittori. E sono due tipi di felicità spesso in contrasto tra loro. Tu parli di scelta…non c’è mai stata possibilità di scelta! Tu parli di rimpianti. Non ci sono rimpianti. Tahiti non era l’altro mondo! Non era ciò che cercavo. Alla fine l’ho capito. L’assoluto si trova sulla superficie della tela, non nella realtà. E io l’ho trovato. Ho dipinto l’armonia di un altro mondo. Alla fine, contro tutto, contro tutti, sono io ad aver vinto. Se le mie opere non dovessero restare, resterà quantomeno il ricordo di un artista che avrà liberato la pittura. Di un artista che ha affermato il diritto di osare tutto! Chi verrà dopo me e godrà di questa libertà mi dovrà qualcosa.
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