Bartolini, cantautore e polistrumentista che ha lasciato la Calabria per trasferirsi a Roma facendo tappa a Manchester, è uscito venerdì 12 aprile il suo terzo album “TILT” (Carosello Records), un nuovo progetto discografico più adulto e maturo, ma anche spensierato, giocoso, verace e legato indissolubilmente alle influenze dell’alternative rock che hanno formato musicalmente l’artista durante la sua adolescenza. Un disco che si confronta con la vita adulta, gli affetti, le perdite, i cambiamenti e il senso di disorientamento che ne consegue, e segna la crescita personale e artistica di uno dei rappresentanti del nuovo cantautorato indie/rock che venerdì 24 maggio tornerà a esibirsi al festival MI AMI per la sua terza partecipazione solista.
Abbiamo raggiunto Bartolini per parlare di questa sua nuova avventura musicale, ne è sortita una piacevole conversazione durante la quale si è parlato anche di cosa ha significato per lui lo stop per il lockdown
L’INTERVISTA
Prima di tutto complimenti per essere tornato con questo album molto interessante che si chiama Tilt ed è un progetto discografico che tu definisci più adulto e più maturo. Come mai? Cosa c’è di diverso in quest’album rispetto alle tue produzioni passate? Sono passati due anni dall’ultimo tuo lavoro.
“Sì, innanzitutto sono partito sempre dal mio vissuto, nel senso che la chiave in comune
rispetto agli altri lavori è sempre quella. Cercare di parlare della mia vita, dei miei traumi,
delle mie amicizie, delle mie relazioni, eccetera. Però in una chiave diversa, nel senso che
rispetto al secondo disco che era magari un omaggio alla mia adolescenza, a un periodo più
spensierato, quest’ultimo lavoro qui, appunto Tilt, lo definisco più consapevole e maturo
perché riguarda il mio ultimo anno di vita, anno in cui ho dovuto fare i conti con una serie di difficoltà, lo riassumo con un reality check della quotidianità, di responsabilità, tanti dubbi sul futuro, tanti problemi relazionali, convivenza, amicizie difficili, perse, ritrovate, e una maggiore consapevolezza anche da un punto di vista sonoro perché per la prima volta mi sono chiuso molto di più sulle produzioni, anche sui testi.
DALLA SOLITUDINE LE IDEE
Ho passato tanto tempo da solo a casa, in questa stanza dove nascono la maggior parte delle mie canzoni e ho passato anche tanto tempo davanti al computer a studiare, a
sperimentare, a giocare con la musica, che era un aspetto che dal lockdown in poi è
mancato, quindi è come se avessi ripreso in mano una situazione messa in stand by nel 2020 a causa anche del Covid. Di tutte le situazioni che ci sono state contingenti. Una quotidianità che appunto mi ha portato poi a lasciarmi anche andare, sono diventato più pigro, meno curioso di sperimentare, avevo bisogno di questo anno e mezzo per focalizzarmi su me stesso e sulla musica, quindi sì, questo disco rappresenta quest’ultimo periodo, è un diario aperto del mio ultimo anno e mezzo di vita e per me sapere che adesso è fruibile a tutti e accessibile a tutti mette un pò d’ansia, è sempre strano quando ti metti a nudo e fai uscire qualcosa di completamente tuo, però è poi anche il motore per generare, per creare altro, quindi sono anche molto contento che sia fuori, che stia piacendo, ti ringrazio per averlo ascoltato, non è mai scontato.”
Io l’ho ascoltato e ci sono dei pezzi che mi hanno colpito, le due collaborazioni che hai fatto, molto interessanti, Bugia è tanta roba, veramente dentro Bugia c’è un mondo tuo, e mi è piaciuta anche la canzone che hai scritto per l’amore finito, che era probabilmente questa ragazza, questa convivenza di cui parlavi. Il brano si chiama ‘Non eri tu’.
“Lil Kvneki, con l’esperienza, ha deciso di fare un suo disco da solo, io ho dato tanto una mano da quel punto di vista, lui ha dato tanto una mano a me con questo disco e banalmente anche con la sua compagnia, quindi è nata questa canzone in cui ho voluto anche sperimentare un flow, un approccio diverso rispetto a quello che di solito faccio e lui mi prende sempre in giro, dice sembri un rapper, sembri un rapper su questo pezzo, ed effettivamente sì, le strofe sono molto più conscious, con un flusso di coscienza, con queste immagini.
Su quelle strofe ci sono stato particolarmente, ci ho passato diverso tempo a scrivere, perché di solito dei pezzi nascono quasi freestyle, ti metti davanti al microfono, ci sono delle suggestioni, delle cose, ti appunti una strofa e poi resta quella magari perché è troppo sincera ed è troppo giusta, invece su questo pezzo qui c’è stato tanto lavoro. Non eri tu, invece, è proprio un inno a tutte le persone che hanno fatto parte della mia vita, che fanno parte della mia vita, anche quelle negative che mi hanno lasciato nella… insomma… hai capito…
Anche quelle persone sono state importanti, alla fine mi hanno lasciato qualcosa e non sarei la persona che sono senza quelle esperienze, quindi è anche quello, perché insomma il ritornello è… non eri tu a farmi stare bene, ok, però ricordo cosa mi hai detto per non stare male, nel senso sei stato o stata tu a causarmi questo trauma, però allo stesso tempo sei anche… cioè ricordo… mi hai dato anche la medicina per poter affrontare questo male.”
UN ALBUM CHE E’ UN PERCORSO INTERIORE
Comunque è tutto bello, tutte le tracce sono bellissime, perché sono molto introspettive e veramente riflettono un percorso interiore, quindi questo album è veramente un percorso, un cammino.
“Per me è stato una via scrivere questo disco qui. Sicuramente anche per chi l’ascolta, prima di tutto rilassa e poi aiuta, aiuta ad aprire tante celle, che a volte teniamo chiuse. Allo stesso tempo il mio obiettivo era l’obiettivo principale di questo disco, tra
i mille momenti di perdizione, voglia di mollare tutto, esaurimento eccetera, appunto quei
momenti in cui ma che cosa sto facendo, cosa sto scrivendo, perché lo sto facendo, poi a un certo punto…”
Tipico di un cantante, di un cantautore
“No, non riesco a definirmi cantautore, non lo so, però a un certo punto ho detto no, faccio questa cosa perché voglio stare meglio, perché è il mezzo che ho per esorcizzare questo genere di cose. Quindi sarei contento se arrivasse questo messaggio, insomma.
A me ha aiutato tanto anche a cercare… non voglio più scrivere cose magari tristi in
questo momento. Sto continuando a scrivere nuove cose, cercando di portare avanti dei pezzi magari che ho lasciato fuori dal disco, proprio perché non c’entravano, altrimenti sarebbero stati troppi, però il mio atteggiamento adesso è molto più positivo o
almeno ci sto provando, sto provando ad essere più positivo, più up in generale.”
IL RAPPORTO CON IL PUBBLICO
Sei un rappresentante dell’indie rock, o comunque ti reputo uno dei cantanti più
interessanti del genere. Ti esibirai per il terzo anno consecutivo come solista a fine maggio a Milano, al MiAmi. Qual è il tuo rapporto con la live, col pubblico?
“Molto bello, nel senso che poi una volta che salgo sul palco sto bene, anche se la vivo in maniera altalenante in realtà, perché prima di suonare sto male, ho l’ ansia da prestazione.
Di base non fumo, non sono un fumatore, però se ho un concerto smetto di fumare il mese
prima, neanche una sigaretta, perché sono iper ipocondriaco, quindi penso che qualsiasi
cosa che faccio prima del live possa avere un’influenza negativa sul live. Cerco di
mantenermi in forma e di essere il più lucido possibile, proprio perché so che arriverà quel
momento in cui prima di salire sul palco starò male. E quello per me è proprio il ring e la lotta con me stesso, poi allo stesso tempo mi libera e quando salgo sul palco vedo la gente
fomentata che sta lì, che supporta, che mi passa tutto e sto bene.
Quindi il mio rapporto con i concerti è molto positivo non appena salgo sul palco, perché
prima sono in paranoia totale, sia a livello di performance, sia il mio stato di salute, ho paura sempre di ammalarmi, paura che non ci sia gente, non lo so, insomma…”
BURNOUT E SIGNIFICATO DI UN TITOLO COME TILT
Parlando del tuo vissuto, hai detto che è una pila di bicchieri che a volte riesci a tenere in piedi, altre volte non del tutto. Questo sentiment è coinciso anche con la ricerca di altre sonorità nell’elaborazione dell’album, o comunque è un tuo sentiment? Nel senso, certi giorni sto a 3.000, e certi giorni…
“Sì, la mia vibe è questa, nel senso mi sento come se stessi portando questa pila di bicchieri che a un certo punto non ce la faccio più e butto tutto per terra e purtroppo è così, ma penso che sia normale, penso che siano tutti dei passaggi normali, delle fasi normali. Aggiungo anche un’altra fase è quella di raccogliere tutti i pezzi di vetro e ricominciare, insomma, è stato un po’ quello che ho fatto con questo disco qui, nel senso
che ho avuto sempre la tendenza come persona a mollare alcune cose, a buttare tutto in
caciata perché appunto andavo in burnout. Secondo me questa fase qui è il filo che porta poi al titolo Tilt, che inizialmente doveva essere burnout in realtà, quindi proprio esaurimento.”
Eh ma Tilt rende di più perché è il cortocircuito da cui nasce tutto, se poi uno sente l’album si rende conto anche che il titolo è azzeccatissimo.
“Sono contento perché ho avuto anche tanti dubbi sul titolo e poi alla fine…”
Giuseppe Scuccimarri
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