giovedì 5 Dicembre 2024

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Love Is The Bomb: “Volo su Marte è la nostra ricerca verso l’ignoto” – INTERVISTA

A tu per tu con il duo composto da Martina Catalfamo e Francesco Santalucia, in radio con “Volo su Marte”

Si intitola Volo su Marte il singolo d’esordio dei Love Is The Bomb, duo musicale composto dal compositore Francesco Santalucia e dall’attrice e cantautrice Martina Catalfamo. In attesa del lancio del loro primo album di inediti, previsto per la prossima primavera, abbiamo incontrato per voi i due ispirati artisti.

Ciao Martina, ciao Francesco partiamo da “Volo su Marte”, il vostro nuovo singolo, com’è nato e cosa rappresenta per voi?

Martina: «”Volo su Marte” è nato durante una vacanza estiva a casa mia, in Sicilia. Ero ad Ortigia seduta su una panchina e semplicemente ascoltavo il mare. Lì, mentre appuntavo la mia vita su un diario, ho percepito un istinto melodico nuovo e ho sentito il desiderio impellente di trovare delle parole per quella melodia. Così ho visto le sirene, la terra brulla, i vulcani… così ho pensato a quella utopia chiamata “Marte”, metafora di ciò che per me è la Sicilia…una via di fuga dai sogni infranti. Perché in fondo siamo scappati tutti dalle nostre vere case e probabilmente le stiamo ancora cercando. Nasce da qui il desiderio di una fuga su “Marte”, un luogo utopico ancora vergine. “Volo su Marte” è una ricerca verso l’ignoto, un andare verso delle radici ancestrali, un atto di libertà».

C’è una veste precisa che avete voluto attribuire al pezzo, sia a livello di sonorità che per quanto riguarda il testo?

Martina: «Desideravo un brano ruvido, con un groove coinvolgente. Non avevo un riferimento preciso, avevo semplicemente un colore ed era il “rosso/arancio” di Marte».

Francesco: «Quando ho letto il testo di Martina mi ci sono riconosciuto subito in quel desiderio di via di fuga da una realtà claustrofobica verso un territorio ancora vergine e in un certo senso hippie. Convertirlo in suono è stato naturale, rifacendomi alla produzione musicale dei fine ’60- inizio’70, periodo nel quale nella musica c’era una positività senza superficialità e il sogno di un mondo migliore. Ovviamente trasposto in un’elettronica contemporanea che dialoga bene con i sintetizzatori analogici, le chitarre sporche, il groove. Il suono del passato è una citazione per esprimere meglio una critica verso il nostro tempo oltre ad essere semplicemente il suono che ci piace».

Cosa avete voluto trasmettere attraverso le immagini del videoclip molto cinematografico diretto da Arianna Del Grosso?

«L’idea del videoclip si basa fondamentalmente sul concetto di Evasione. Un’ evasione catartica che può avvenire semplicemente durante un sogno, l’ascolto di un brano, la lettura di un libro. Volevamo ricreare un universo parallelo su Marte. Un universo in cui gli oggetti comuni venissero deprivati del loro uso quotidiano. L’idea che sinergicamente è nata dall’incontro tra noi, Arianna del Grosso e i due scenografi/costumisti Sergio Minelli ed Anna Maria Porcelli, è stata infatti quella di elevare gli iconici s62 su un “piedistallo”, deprivandoli del loro significato comune ed esponendoli in vetrina su Marte come per farne una scultura che culminerà nell’arrivo di un marziano (Francesco), che al posto del classico casco da astronauta indossa un’altra icona della cultura analogica degli anni 70 ovvero il televisore, metafora della manipolazione del pensiero contemporaneo causata dai mass media. Il marziano porterà alla protagonista del video (Martina) una lampadina, simbolo del pensiero, del progresso, della luce delle idee, quella scintilla necessaria per uscire dal medioevo in cui stiamo vivendo. Nel momento in cui il personaggio toglie l’elmetto è come se si denudasse agli occhi dello spettatore per paura di mostrarsi così com’è».

Facciamo un salto indietro nel tempo, come e quando vi siete conosciuti e avete deciso di creare il vostro duo musicale?

«Ci siamo conosciuti quasi due anni fa durante un concerto. Per mesi abbiamo solo condiviso idee, ascolti, arte, visioni, poi siamo andati in studio e giocando abbiamo registrato di getto quasi tutto l’album. L’istinto ci ha permesso in poco tempo di trovare una sintesi tra i nostri gusti, i messaggi che volevamo comunicare e la sonorità del concept».

Quali ascolti hanno ispirato e accompagnato il vostro percorso?

«Abbiamo dei gusti molto simili che spaziano dalla musica di fine ’60 inizio ’70 legata alla psichedelia (Pink Floyd, Beatles, David Bowie, King Crimson..), la musica italiana dello stesso periodo (Lucio Battisti, Mina, Nada..), la musica elettronica, trip hop e tutta la musica che contiene un suono analogico, il groove, la cura del suono, un carattere carnale e nello stesso tempo emotivo».

Personalmente, vi collocate in un genere particolare?

«Ogni volta che si pubblica qualcosa si è costretti a scegliere il genere nel quale posizionarsi ed è sempre complicato sceglierne uno. Diciamo che le nostre canzoni potrebbero posizionarsi tra l’alternative, l’indie rock e l’indie pop».

Vi sentite rappresentati da ciò che passa in radio e, dal punto di vista discografico, rappresenta l’attuale tendenza?

«Noi abbiamo voglia di osare e sperimentare. Alcuni artisti che passano in radio possono piacerci, altri meno. Ma per fortuna la musica che passa in radio adesso è diventata un pochino più democratica. E’ più facile ascoltare musica al di fuori dei canoni del mainstream e riconosciamo un movimento interessante in Italia che sta rimettendo tutto in gioco. C’è una curiosità maggiore verso tutta la musica indipendente, anche se nelle nostre playlist c’è poco della musica che passano in radio che non siano evergreen».

“Volo su Marte” anticipa l’omonimo album previsto per la prossima primavera, cosa potete svelarci a riguardo?

«Sarà un concept album. I temi sono la rivoluzione, l’evasione, una critica alla società, la ricerca delle proprie radici, di un contatto autentico con l’altro e con il pianeta “Terra”».

Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, per concludere, quale messaggio vorreste trasmettere al pubblico, oggi, attraverso la vostra musica?

«Vorremmo che la nostra musica possa scuotere, far ballare il corpo, aprire l’altro ad una forma di amore totale, universale. Non si raccontano storie, si racconta un quadro, uno spaccato sociale dal punto di vista di una donna, ma che in questo caso viene anche condiviso da un uomo. Sicuramente la nostra origine mediterranea ci accomuna così come ci ha accomunato l’essere andati via dal nostro luogo d’origine, l’ aver viaggiato tanto. Nei testi del disco c’è un tormento continuo tra la realtà in cui viviamo ed un ritorno alla terra, alla riscoperta delle proprie origini, ai legami veri, reali. Vorremmo creare davvero una rivoluzione culturale che parta dal basso, ovvero dal singolo e che, in un certo senso, c’è già».

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Nico Donvito

Nato a Milano nel 1986, è un giornalista attivo in ambito musicale. Attraverso il suo impegno professionale, tra interviste e recensioni, pone sempre al centro della sua narrazione la passione per la buona musica, per la scrittura e per l’arte del racconto. Nel 2022 ha scritto il libro "Sanremo il Festival – Dall’Italia del boom al rock dei Måneskin" (edito D’idee), seguito da "Canzoni nel cassetto" (edito Volo Libero), impreziosito dalla prefazione di Vincenzo Mollica, scritto a quattro mani con Marco Rettani. L'anno seguente, sempre in coppia con Rettani, firma "Ho vinto il Festival di Sanremo" (edito La Bussola), con introduzione curata da Amadeus e il racconto di trenta vincitori della rassegna canora. Tale opera si è aggiudicata il Premio letterario Gianni Ravera 2024.