giovedì 21 Novembre 2024

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Mace, 28 artisti riuniti in un casale hanno dato vita al suo “Maya”

 

Mace lancia il suo nuovo lavoro discografico Maya, realizzato con 28 artisti tra i protagonisti della scena musicale italiana: Altea, Bresh, centomilacarie, Chiello, Coez, Cosmo, Digital Astro, Ele A, Ernia, Fabri Fibra, Frah Quintale, Franco 126, Fulminacci, Gemitaiz, Guè, Iako, Izi, Kid Yugi, Joan Thiele, Marco Castello, Marco Mengoni, Noyz Narcos, Rare?, Rkomi, Salmo, Tony Boy, Venerus, Vins.

Questa l’intervista rilasciata a La Repubblica.

Il producer milanese racconta come è nato il disco:

“Ci siamo riuniti in un casale in Toscana e abbiamo vissuto insieme per diversi giorni, scambiando idee e battute per tutto il tempo – spiega l’artista milanese – volevo lavorare come si faceva una volta, quando le band passavano tanto tempo insieme e creavano musica così”

Non dei semplici featuring, quindi, come si usa oggi, ma un lavoro collettivo.

“Un tempo la musica dallo scambio, poi negli anni è quasi tutta fatta in monosessione da un pomeriggio. C’è un produttore con la base, il cantante scrive al volo le rime e l’idea viene fuori in poco tempo. Non c’è un vero scambio tra le parti. Non c’è niente di sbagliato, ma volevo un approccio totalmente diverso, cercare di ricreare la magia degli anni 60 e 70 quando le band facevano tutto insieme. La musica, per me, deve essere la risultante dell’interazione tra persone che si sono scelte”.

Come facevano i Funkadelic di George Clinton, che cita spesso come esempio.

“Fantastici. George Clinton alla regia con uno spirito da sciamano e un collettivo che ha saputo unire la black music con la musica psichedelica. E poi ero terrorizzato dall’idea di ripetermi, anche se avevo avuto un grande successo”.

Maya è un termine che arriva dalla filosofia induista e si può tradurre con inganno. Dov’è oggi l’inganno, secondo lei?

“Sono fermamente convinto che gli indiani abbiano ragione: la realtà che percepiamo noi è limitata. Ho sempre pensato che ci sia molto di più rispetto a quello che noi riusciamo a percepire”.

Non a caso ha creato una sorta di comune, dove l’elemento psichedelico (più a livello filosofico che sonoro) aleggia un po’ ovunque. Ha coinvolto anche Marco Mengoni.

“Innanzi tutto devo dire che lavorare con gli emergenti mi regala tanta energia, hanno un entusiasmo contagioso, per loro è tutto nuovo. Ti regalano uno sguardo che tu non puoi avere. Ed è bello bello viversi per 24 ore, alternando svago e creazione musicale. In effetti è stata una specie di comune, come quelle di qualche decennio fa, e i concetti sono molto psichedelici. Con Mengoni avevo già lavorato, mi ha sempre colpito come persona, è simpaticissimo, autoironico. Anche lui è un grande amante del soul anni 70, ho chiesto a Calcutta un ritornello per la base della canzone di Marco (Fuoco di paglia, interpretata con Gemitaiz e Frah Quintale, ndr), poi lui ha davvero spaccato”.

A volte si ha l’impressione che lei “veda” la musica prima ancora di comporla.

“La visione è molto importante, il mio lavoro è più simile a quello di un regista, che ha già visualizzato la sua idea. E nei momenti improvvisati devi saper guidare, io do quasi indicazioni fotografiche ai miei collaboratori”.

All’interno di molte canzoni sembra di percepire un clima alla Lucio Battisti.

“Battisti è l’unico artista italiano che fa parte dei miei ascolti. Non sono cresciuto con gli artisti italiani, mi sono sempre dedicato ad altro. Però devo dire che Anima Latina l’ho consumato, quello spirito sperimentale credo mi abbia influenzato. Poi negli anni ho scoperto Battiato, quasi più come guida spirituale che non come artista, con la sua apertura culturale, anche se è stato un musicista gigantesco”.

In questo disco ci sono molte suggestioni, dal progressive al jazz di Alice Coltrane e Gato Barbieri. Come riesce a tenere insieme questo istinto sperimentale con i risultati di vendita?

“Di solito le strade che prende la musica popolare sono sempre imprevedibili. La mia speranza è che la musica rimanga accessibile ma che mantenga una componente di ricerca. Anni fa nei successi c’era tanta sperimentazione: i Beatles erano il gruppo più pop del mondo, ma al tempo stesso anche il più sperimentale. La musica non può essere solo un flusso costante, un sottofondo. Oggi purtroppo non si trova il tempo per soffermarsi sulle cose, ma non possono bastare i 15 secondi su TikTok. Forse io sono antitetico rispetto rispetto al consumo, ma continuo a pensare che ci sia anche tanta gente che ha bisogno di altro”.