A tu per tu con la band piemontese, in uscita con il nuovo singolo intitolato “Staring at the sun“
Tempo di nuova musica per Cristian Barra (voce/chitarra), Giorgio Prandino (chitarra), Paolo Bergese (basso/synth) e Michele Cera (batteria), meglio conosciuti come i Madyon, rock band originaria di Cuneo in uscita con il singolo “Staring at the sun”, brano che fa da colonna sonora al nuovo e attesissimo videogame della GT World Challenge “Assetto corsa competizione”, uno dei più importanti simulatori di guida, così come l’inedito “Runaway”, che anticipa l’uscita del loro nuovo album prevista per il prossimo anno.
Ciao ragazzi, benvenuti. Partiamo dal vostro inedito “Staring at the sun”, com’è nato questo pezzo?
«Il brano “Staring At The Sun” è uno degli ultimi brani pubblicati dai Madyon e nel dettaglio ha rappresentato il ritorno della band dopo due anni di stop. Dopo aver lavorato tanto all’ultimo EP intitolato “Roll The Shadows” e dopo il successivo tour di 25 date in 10 mesi tra Italia, Francia e Regno Unito. Sentivamo la necessità di una pausa, avevamo bisogno di resettare la macchina e guardare le cose dall’alto. Il brano parla proprio di questo, del saper andare avanti, trovando nuovi stimoli nel voler migliorare se stessi e battere il riferimento di ciò che si è fatto».
“Runaway” e “Staring at the sun” fanno da colonna sonora al videogame “Assetto Corsa Competizione”, una bella soddisfazione?
«Puoi dirlo! Un’enorme soddisfazione considerando che la nostra produzione musicale non è condizionata dalle mode del momento e di conseguenza non orbita nell’ambiente mainstream. Inoltre siamo stati selezionati inconsapevolmente, senza esserci mai proposti per un posizionamento di questo tipo. “Assetto Corsa Competizione” rappresenta il top dei simulatori di guida per PlayStation e far parte di un progetto così ambizioso è ulteriore motivo di orgoglio».
Come vi siete conosciuti e quando avete deciso di mettere in piedi il vostro progetto musicale?
«Il nostro percorso musicale nasce nel 2012 su YouTube. In quel periodo cercavamo di far avvicinare il pubblico al nostro stile tramite la pubblicazione di cover riarrangiate e rivisitate col nostro sound. Nell’arco di 12 mesi debuttavamo dal vivo sul main stage di Collisioni Festival, come opening act di Fabri Fibra e altri grandi nomi della scena italiana come Tre Allegri Ragazzi Morti, Perturbazione, Marta Sui Tubi. Pronti, via! Per noi è stato quasi scioccante fare quel tipo di salto in avanti. Prova ad immaginare: un anno prima ci trovavamo in uno scantinato a registrare video per YouTube e dopo dodici mesi suonavamo per la prima volta dal vivo sul main stage di un festival enorme. Da quel momento abbiamo varcato la soglia degli Abbey Road Studios di Londra e sono seguiti alcuni singoli, due ep (con il debutto dell’ultimo nella Top10 di iTunes) e un tour che ha toccato Italia, Francia e Regno Unito.
Quali ascolti e quali artisti hanno accompagnato la vostra crescita?
«È innegabile che il suono dei Madyon arrivi da oltremanica, il cantautorato inglese è sicuramente la prima fonte di ispirazione. Anche se tutte le influenze musicali sono state mescolate ed elaborate per creare una nostra identità, ancora oggi è facile identificare nelle canzoni dei Madyon alcune atmosfere dei primi Coldplay o gli espedienti compositivi di Noel Gallagher e Richard Ashcroft».
A cosa di deve la scelta del vostro nome d’arte?
«Non ha un vero significato, è un nome inventato, univoco, che non identifica nient’altro al mondo se non la nostra band. A dire il vero però ci sono due versioni della storia che ha portato a questo nome. La prima molto noiosa, basata su un processo di “naming” molto freddo e scientifico. La seconda invece si basa sul ritornello di una canzone che continuava a ronzarmi in testa nel periodo in cui ero alla ricerca di un nome che avesse tutte le caratteristiche fonetiche e di univocità che stavamo cercando. Il brano in questione è dei “The Weepies” e si intitola “World Spins Madly On”. Il ritornello chiude proprio con il titolo della canzone e quel “Madly On”, il suono di quelle parole, ha portato alla formulazione del nome per la band».
Quali sono, secondo voi, i punti di forza della vostra band? Le caratteristiche che vi rendono unici
«Io non credo che “essere unici” sia sempre un valore aggiunto. Ovviamente l’identità della band è molto importante e nel nostro caso è molto solida, basata su un sound che negli anni si è sempre rinnovato, mantenendo però caratteri costanti ad alta riconoscibilità come gli accorgimenti compositivi, i suoni di chitarra o anche solo della mia voce. Siamo consapevoli di essere esponenti di una corrente musicale senza tempo, che affonda le radici tra la metà degli anni novanta e la metà dei duemila. Oggi non c’è più molto spazio per la musica “senza tempo” ed è forse per questo che, per qualcuno, rappresentiamo un rifugio sicuro nel quale trovare riparo in questo periodo di sovraffollamento musicale. Se proprio devo trovare un carattere che renda la nostra band anomala rispetto al mercato odierno, posso evidenziare il nostro interesse a dare attenzione al prodotto musicale piuttosto che allo storytelling dell’artista. Esattamente il contrario di ciò che viene consigliato di fare ai giovani artisti di oggi per fare i numeri».
Dal punto di vista musicale, oggi, credete di aver trovato il giusto sound, quello che vi rappresenta di più e che vi permette di esprimervi al meglio?
«Come dicevo in precedenza, determinati stilemi garantiscono la solida identità dei Madyon ma, al di fuori di quei caratteri, ormai inestirpabili, il nostro processo creativo e produttivo è alla costante ricerca dell’avanguardia compositiva ed ingegneristica. Ad esempio i nostri ultimi brani escono con decisione dalle strutture della forma canzone classica, seguendo un crescendo in continua evoluzione… ma questo aspetto non deve essere percepito dall’ascoltatore. A livello di sound design inoltre c’è quasi un’ossessione nel voler superare la qualità delle nostre referenze musicali. Addirittura alcuni limiti li superiamo andando a cercare in giro per il mondo gli ingegneri che hanno preso parte ai lavori ai quali ci ispiriamo come Christian Wright e Geoff Pesche, sound engineers degli Abbey Road Studios di Londra che, oltre ad aver curato tutta la nostra produzione, da sempre lavorano a fianco di artisti come Coldplay, Ed Sheeran e Mumford & Sons».
Come ve la immaginate un’estate senza o con pochi concerti?
«Qui sarà molto sintetico: uno strazio. Prima di essere musicisti siamo voraci consumatori di musica ed i festival per noi rappresentano il miglior ambiente dove poter condividere, conoscere ed ispirarsi. Sarà un’estate molto triste da questo punto di vista».
Per concludere, a chi si rivolge la vostra musica e a chi vi piacerebbe arrivare in futuro?
«Non è facile rispondere a questa domanda… che è effettivamente un’ottima domanda! La nostra musica non nasce con l’obiettivo di rivolgersi a qualcuno. Non vediamo le canzoni come “prodotti” all’interno di un mercato. I nostri brani nascono piuttosto da un’esigenza personale, anche un po’ egoista se vogliamo. Per questo non abbiamo l’obbligo di piacere per forza a qualcuno. Anche se siamo una goccia in mezzo all’oceano, come ha dimostrato il posizionamento su “Assetto Corsa Competizione” per PlayStation, il palco più adeguato alla nostra musica è sicuramente lo scenario internazionale. A questo punto, se la domanda è “a chi vi piacerebbe arrivare in futuro?” forse la risposta è proprio “l’Italia”, un Paese che amiamo ma che purtroppo oggi si sta chiudendo in se stesso sotto molti fronti».
Nico Donvito
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