Recensione del primo album ufficiale dall’artista vincitore dell’ultimo Festival di Sanremo con il brano Soldi
Torniamo indietro per un attimo nel tempo: ormai è il 10 febbraio 2019 ed è passata l’1 di notte, mezza Italia dorme e l’altra mezza sta guardando il Festival di Sanremo, sul palco ci sono i tre finalisti: Il Volo e Ultimo, parecchio scontati, e poi a sorpresa c’è Mahmood che con la sua Soldi che, serata dopo serata, ha conquistato consensi su consensi.
Gli stessi consensi che hanno portato il direttore artistico Claudio Baglioni ad annunciare la vittoria del brano del giovane artista che rimane incredulo e senza parole. Una grossa sorpresa, un outsider che per anni e anni ha lavorato dietro le quinte senza fermarsi e conquistando, passo dopo passo, un posto sempre più importante all’interno dell’intrecciato mondo della musica italiana.
Alessandro Mahmoud non è assolutamente un novellino: nella sua carriera, prima del Festival, oltre all’esperienza ad X-Factor nel 2012, aveva già collaborato con Fabri Fibra, Guè Pequeno e Michele Bravi, scritto per Mengoni (Hola) ed Elodie (Nero Bali) e pubblicato numerosi singoli.
Nel 2018 ha pubblicato l’EP Gioventù bruciata (qui la nostra recensione), ristampato in occasione della sua partecipazione (con annessa vittoria) a Sanremo Giovani, progetto poi completato dal primo album ufficiale (con lo stesso titolo) uscito lo scorso 22 febbraio per Islands Records / Universal Music e arricchito da 3 inediti più la versione del brano Soldi insieme a Guè Pequeno, già presentata nella serata duetti del Festival.
L’album è la perfetta cartolina da visita dell’artista classe 1992: si poggia su produzioni raffinate e moderne (firmate da Dardust, Charlie Charles, Ceri, MUUT e Francesco Catitti) che si sposano perfettamente con la personalità e soprattutto con la sua vocalità, fresca e particolare.
Chi sospetta che Mahmood sia solo quello del tormentone di Soldi dovrebbe ascoltare tracce quali Uramaki o Il Nilo nel Naviglio, veri e propri piccoli gioielli perfettamente impacchettati e prodotti e nei quali il bel timbro del cantante esce allo scoperto facendosi apprezzare ancor di più.
Gioventù bruciata, nonostante punti forte sui suoni, non è però un disco da primo ascolto: Mahmood parla moltissimo di sé, di famiglia, di infanzia e lo fa in maniera diretta e senza troppi giri di parole, mischia i suoni più canonici del pop a quelli meno convenzionali, trovando la formula giusta per esprimersi e per farlo parlando all’Italia intera come dimostra l’esperienza di Sanremo. Le collaborazioni, poi, mostrano e certificano ancor di più la modernità del progetto: sono infatti Fabri Fibra (nel brano Anni ’90) e Guè Pequeno (nel remix di Soldi) gli ospiti del disco, che aggiungono linfa pur evitando di snaturare il mood molto personale del progetto.
Quest’album è la dimostrazione di come osare spesso rappresenti la scelta vincente e del fatto che farlo per trovare la propria strada sia ancora più appagante. Mahmood con Gioventù bruciata si è finalmente creato lo spazio che meritata e che serviva per iniziare a pensare in grande: la strada è spianata, ora sta a lui…
Miglior traccia: Uramaki, Il Nilo nel Naviglio
Voto complessivo: 8/10
Francesco Cavalli
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