A tu per tu con i Malamore, in occasione dell’uscita del singolo “Venere e Giove”. La nostra intervista alla band pugliese
L’autunno si tinge dei colori cosmici di “Venere e Giove”, il nuovo singolo dei Malamore realizzato con il Maestro Pellegrini dei The Zen Circus, disponibile dallo scorso 18 ottobre in digitale e in rotazione radiofonica per DIGA Records.
Un ritorno in grande stile per la formazione composta da Osvaldo Greco, Matteo Spano e Giacomo Spedicato, per una ballad intensa e introspettiva costruita attorno a un delicato piano e voce.
Partiamo da “Venere e Giove”, quali riflessioni e quali pensieri hanno ispirato il testo?
«”Venere e Giove” vuole essere una riflessione su quello che di reale molto spesso non riusciamo a concretizzare. Si percorre la via dei sogni, dell’onirico, dell’immaginario (ma poi non tanto) per riprendersi qualcosa che è stato fondamentale e che ha caratterizzato parte delle nostre vite e che alla fine, per svariati motivi, è andato perduto durante un percorso. In questo contesto è facile perdere il controllo di se stessi e dare sfogo a quello che realmente siamo o quelle che sono le nostre paure. Al contrario della realtà, non abbiamo certezze e ci sentiamo come sospesi in un mondo dove può esserci perdonato tutto».
A livello musicale, che tipo di lavoro c’è stato dietro la costrizione del sound?
«Potrebbe essere una cosa scontata, ma questo è uno di quei brani in cui la costruzione del sound è avvenuta in maniera molto spontanea. Come se tutti gli strumenti abbiano atteso il loro momento per dire la propria. Seguendo il testo, ognuno ha saputo pazientemente aspettare il proprio momento, per poi esplodere alla fine, come a creare un’alchimia di fili che si intrecciano, generando il caos. In tutto questo, l’aria che si respira intorno al brano ha un sapore vintage».
A proposito della collaborazione con Maestro Pellegrini degli Zen Circus, com’è nata e com’è stato lavorare con lui?
«Abbiamo conosciuto Francesco, perché è stato invitato per suonare ad un festival che Matteo (batterista) organizza da più di 10 anni, ogni estate nel suo giardino di casa. Sapevamo tanto della sua musica, ma ancora non avevamo scoperto il suo lato umano e comunicativo e crediamo che le due cose siano “bastate” per capire che era una persona con cui potevamo collaborare. Quando gli abbiamo proposto il brano, è stato molto entusiasta di lavorarci e questo per noi ha significato tanto. Oltre a scoprire un professionista ci siamo accorti di avere un fratello a cui volere bene».
Qual è l’emozione principale che vorreste trasmettere con questa ballad?
«Non a caso le ballad servono per emozionare, talvolta far piangere. Di certo, non desideriamo vedere persone in lacrime, non di questi tempi, ma se questa canzone servisse in qualche modo a liberarci per circa tre minuti da una sensazione opprimente o farci sentire in una dimensione diversa e suggestiva, per noi questo sarebbe un bel traguardo».
Come descrivereste il vostro percorso finora?
«Come le montagne russe».
Per concludere, c’è un insegnamento particolare che sentite di aver appreso dalla musica finora?
«Crediamo che la musica sia ancora oggi (e non vorremo mai smettere di crederlo) uno dei mezzi più potenti per comunicare. Siamo contenti di poter fare questo, anche se non dovesse arrivare a tutti, anche se dovesse arrivare a una persona sola, ma in qualche modo ci sentiremo gratificati per aver avuto il privilegio di lasciare un messaggio positivo a qualcuno».
Nico Donvito
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