Malika Ayane ed il suo “Domino” dove la classe non è acqua ma nemmeno Champagne – RECENSIONE
Recensione del nuovo album della cantautrice
Capita a volte di essere raffinati, di sentirsi eleganti, di voler essere pregiati. Succede. E’ umano. Esattamente come chi, invece, ama sentirsi parte della pluralità, uomo di mondo o ammiratore della globalizzazione e della massificazione. Nulla di sbagliato in tutto ciò, basta capire da che parte si vuole stare e, forse, Malika Ayane fino ad oggi non lo aveva ancora compreso appieno cercando, nei propri lavori, di bilanciare sempre quella sua innata qualità tendente all’essere etereo con quella necessità di “arrivare a tutti” che obbliga qualunque artista a scendere a patti con il mondo reale. Con Domino, il suo nuovo album d’inediti pubblicato il 21 settembre 2018 per Sugar Music, le idee si sono schiarite e una delle due strade è stata intrapresa con più decisione rispetto all’altra.

Il racconto parte con Nodi che fin da subito fa presagire la dimensione dell’intero lavoro mettendo in evidenza il tema sonoro del disco che, facendo leva su di una leggera elettronica strumentale, non cerca comunque una variazione dinamica nè vocale nè melodica. Sulla stessa scia si collocano anche la parlata Imprendibile, che alterna un canto leggerissimo ad un testo dialogico e narrato che solo nel finale ritrova una diversa soluzione dinamica soffocando l’eccessiva aria offuscata, e dalla ultra-quotidiana Non usciamo, che su di una base poco movimentata si concentra su di una relazione a due da “tutti i giorni” tra “pasta in bianco” e patate bollite facendo mancare del tutto il ritornello.

Poco altro si pone sul piedistallo in questo album a tratti fin troppo freddo e piatto a partire dai singoli anticipatori Stracciabudella e Sogni tra i capelli, entrambi incapaci di reggere davvero il confronto con il passato della cantautrice italo-marocchina pur proponendo due soluzioni interessanti: la prima ritmica e vocalmente sostenuta, la secondo soffusa e trattenuta per favorire una decantazione della leggerezza celestiale.
A concludere ci sono Nobody Knows, che ahimè non restituisce l’inglese a Malika rifugiandosi solo nel proporre il titolo nella lingua anglosassone, e Vestito da domenica, che pur introducendo un apporto ritmico non riesce a spezzare il cordone ombelicale ormai indissolubile con un’eccessiva distanza del pop leggero e frivolo di cui spesso è stata capace la cantautrice in Tre cose o Tempesta.

MIGLIORI TRACCE: Questioni di forma – Stracciabudella
VOTO: 6.8/10
